Ricorso Inammissibile per Genericità: il Caso di Diffamazione a Mezzo Stampa
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4700/2024, ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale: un’impugnazione deve essere specifica e non limitarsi a una generica contestazione. In caso contrario, il risultato è un ricorso inammissibile. Questa pronuncia offre spunti cruciali sul reato di diffamazione a mezzo stampa e sui requisiti necessari per presentare un ricorso efficace.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un articolo di stampa in cui a una donna veniva attribuito il soprannome “lady spaccio”, evocando un suo coinvolgimento in attività illecite legate agli stupefacenti. Per questo articolo, sia l’autore che il direttore responsabile del periodico venivano condannati in primo grado e in appello per i reati di diffamazione e omesso controllo.
La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, sottolineando due aspetti chiave: la vicenda passata che aveva coinvolto la donna era distinta da quella del marito, oggetto dell’articolo, e, soprattutto, non vi era alcuna corrispondenza tra i fatti reali e quanto riportato, in particolare riguardo all’attribuzione del soprannome infamante.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione
I due condannati hanno presentato ricorso in Cassazione, basando le loro difese su due argomenti principali:
1. Il coinvolgimento passato della donna in una vicenda giudiziaria legata al commercio di stupefacenti avrebbe reso pertinente l’uso del soprannome.
2. La presunta “acquiescenza” della donna a pubblicazioni precedenti, risalenti a quattro anni prima, avrebbe reso il fatto attuale inoffensivo.
La Suprema Corte ha respinto categoricamente tali argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno evidenziato come i ricorrenti non si siano confrontati compiutamente con la motivazione della sentenza d’appello, ma si siano limitati a riproporre la propria versione dei fatti in modo assertivo, senza neppure provare un travisamento della prova.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile
La decisione della Cassazione si fonda sul principio della specificità dei motivi di ricorso. Un’impugnazione, per essere ammissibile, non può consistere in una mera espressione di disaccordo con la sentenza precedente. Deve, invece, individuare con precisione i punti della decisione che si contestano e le ragioni giuridiche per cui si ritengono errati.
Nel caso specifico, i ricorrenti:
* Non hanno contestato la motivazione della Corte d’Appello: Hanno ignorato il rilievo dei giudici sulla non corrispondenza tra i fatti narrati e la realtà processuale e sull’assenza di elementi a sostegno del soprannome “lady spaccio”.
* Hanno presentato argomenti infondati: L’idea che una precedente vicenda giudiziaria o il silenzio della vittima su vecchi articoli possano giustificare una nuova e distinta diffamazione è stata ritenuta “palesemente infondata”.
* Si sono limitati a trascrivere parte dell’atto di appello: Questo comportamento, secondo la Corte, dimostra ulteriormente la genericità del ricorso, che non si è adattato a criticare le specifiche argomentazioni della sentenza impugnata.
L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa evidente nel proporre un’impugnazione priva dei requisiti minimi di legge.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza della Cassazione è un monito importante. Per i professionisti dell’informazione, ribadisce che il diritto di cronaca non può travalicare i limiti della verità dei fatti e della continenza espressiva, e che l’attribuzione di soprannomi denigratori senza alcun fondamento costituisce diffamazione. Per gli avvocati e le parti processuali, sottolinea l’imperativo di redigere atti di impugnazione specifici, pertinenti e giuridicamente argomentati. Un ricorso generico, che si limita a riproporre le proprie tesi senza un confronto critico con la decisione impugnata, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente spreco di tempo e risorse, oltre all’aggravio di ulteriori sanzioni economiche.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi presentati sono generici, non si confrontano specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata e si limitano a riproporre la propria versione dei fatti in modo assertivo, senza individuare precisi errori di diritto.
È sufficiente che una notizia sia parzialmente collegata a un fatto passato per escludere la diffamazione?
No. Secondo la Corte, anche se la persona offesa è stata coinvolta in passato in una vicenda giudiziaria, ciò non giustifica la parziale esposizione dei fatti, né l’attribuzione di un soprannome denigratorio privo di riscontri, che costituisce un’autonoma condotta diffamatoria.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, qualora si ravvisino profili di colpa nell’impugnazione (come in questo caso), anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4700 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4700 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PARMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VICENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono – con unico atto – avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste che ne ha confermato la condanna, rispettivamente, per diffamazione ed omesso controllo ex art. 57 cod.pen.;
ritenuto che entrambi i motivi di ricorso – con i quali è stata denunciata la violazione de legge penale – difettano di specificità in quanto non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME, Rv. 254584 – 01), che ha disatteso il gravame rilevando – oltre che in ragione del difetto di pertine della vicenda che in precedenza aveva coinvolto la persona offesa (distinta da quella, riguardante al marito di lei, oggetto dell’articolo di stampa de quo) la non corrispondenza ai fatti di quanto esposto nel medesimo articolo e, segnatamente, la parziale esposizione della relativa vicenda processuale e l’assenza di ogni elemento dal quale trarre l’attribuzione all donna del soprannome («lady spaccio», evocativo di una sua attività illecita nel settore degli stupefacenti) con il quale – secondo l’articolo – ella sarebbe nota; difatti, rispetto a tale iter il ricorso si è limitato:
a rappresentare (per il tramite di enunciati assertivi e senza neppure addurre travisamento della prova: cfr. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01) che la persona offesa era rimasta coinvolta in una vicenda giudiziaria avente ad oggetto il commercio illecito di stupefacenti (della cui entità ella sarebbe stata consapevole) e ad assumere che ta dato renderebbe pertinente la menzione del suo soprannome; nonché ad affermare – in maniera palesemente infondata – che «l’acquiescenza» della donna rispetto alle pubblicazioni di quattro anni prima, riguardanti tale vicenda, renderebbe il più recente fatto in imputazio inoffensivo (cfr. primo motivo);
e, nel resto, a esprimere il disaccordo rispetto alla decisione impugnata e a trascrivere parte dell’atto di appello, contenente allegazioni non conducenti (inerenti, in particolare contenuto di una notizia e al diritto all’oblio) rispetto al piano argomentativo della sent impugnata;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazion (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente