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Ricorso inammissibile: quando l’appello è generico

La Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile per diffamazione, presentato da un giornalista e un direttore. Il ricorso era generico e non contestava specificamente le motivazioni della condanna, basata sull’attribuzione di un soprannome infamante a una donna in un articolo di stampa. La Corte ha confermato la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Genericità: il Caso di Diffamazione a Mezzo Stampa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4700/2024, ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale: un’impugnazione deve essere specifica e non limitarsi a una generica contestazione. In caso contrario, il risultato è un ricorso inammissibile. Questa pronuncia offre spunti cruciali sul reato di diffamazione a mezzo stampa e sui requisiti necessari per presentare un ricorso efficace.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un articolo di stampa in cui a una donna veniva attribuito il soprannome “lady spaccio”, evocando un suo coinvolgimento in attività illecite legate agli stupefacenti. Per questo articolo, sia l’autore che il direttore responsabile del periodico venivano condannati in primo grado e in appello per i reati di diffamazione e omesso controllo.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, sottolineando due aspetti chiave: la vicenda passata che aveva coinvolto la donna era distinta da quella del marito, oggetto dell’articolo, e, soprattutto, non vi era alcuna corrispondenza tra i fatti reali e quanto riportato, in particolare riguardo all’attribuzione del soprannome infamante.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

I due condannati hanno presentato ricorso in Cassazione, basando le loro difese su due argomenti principali:
1. Il coinvolgimento passato della donna in una vicenda giudiziaria legata al commercio di stupefacenti avrebbe reso pertinente l’uso del soprannome.
2. La presunta “acquiescenza” della donna a pubblicazioni precedenti, risalenti a quattro anni prima, avrebbe reso il fatto attuale inoffensivo.

La Suprema Corte ha respinto categoricamente tali argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno evidenziato come i ricorrenti non si siano confrontati compiutamente con la motivazione della sentenza d’appello, ma si siano limitati a riproporre la propria versione dei fatti in modo assertivo, senza neppure provare un travisamento della prova.

Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile

La decisione della Cassazione si fonda sul principio della specificità dei motivi di ricorso. Un’impugnazione, per essere ammissibile, non può consistere in una mera espressione di disaccordo con la sentenza precedente. Deve, invece, individuare con precisione i punti della decisione che si contestano e le ragioni giuridiche per cui si ritengono errati.

Nel caso specifico, i ricorrenti:
* Non hanno contestato la motivazione della Corte d’Appello: Hanno ignorato il rilievo dei giudici sulla non corrispondenza tra i fatti narrati e la realtà processuale e sull’assenza di elementi a sostegno del soprannome “lady spaccio”.
* Hanno presentato argomenti infondati: L’idea che una precedente vicenda giudiziaria o il silenzio della vittima su vecchi articoli possano giustificare una nuova e distinta diffamazione è stata ritenuta “palesemente infondata”.
* Si sono limitati a trascrivere parte dell’atto di appello: Questo comportamento, secondo la Corte, dimostra ulteriormente la genericità del ricorso, che non si è adattato a criticare le specifiche argomentazioni della sentenza impugnata.

L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa evidente nel proporre un’impugnazione priva dei requisiti minimi di legge.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza della Cassazione è un monito importante. Per i professionisti dell’informazione, ribadisce che il diritto di cronaca non può travalicare i limiti della verità dei fatti e della continenza espressiva, e che l’attribuzione di soprannomi denigratori senza alcun fondamento costituisce diffamazione. Per gli avvocati e le parti processuali, sottolinea l’imperativo di redigere atti di impugnazione specifici, pertinenti e giuridicamente argomentati. Un ricorso generico, che si limita a riproporre le proprie tesi senza un confronto critico con la decisione impugnata, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente spreco di tempo e risorse, oltre all’aggravio di ulteriori sanzioni economiche.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi presentati sono generici, non si confrontano specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata e si limitano a riproporre la propria versione dei fatti in modo assertivo, senza individuare precisi errori di diritto.

È sufficiente che una notizia sia parzialmente collegata a un fatto passato per escludere la diffamazione?
No. Secondo la Corte, anche se la persona offesa è stata coinvolta in passato in una vicenda giudiziaria, ciò non giustifica la parziale esposizione dei fatti, né l’attribuzione di un soprannome denigratorio privo di riscontri, che costituisce un’autonoma condotta diffamatoria.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, qualora si ravvisino profili di colpa nell’impugnazione (come in questo caso), anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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