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Ricorso inammissibile: quando l’appello è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano generici e non contestavano efficacemente la sentenza d’appello. La Corte ha respinto le doglianze su attenuanti, recidiva e pene sostitutive, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione ribadisce il principio di specificità

Quando si presenta un ricorso alla Corte di Cassazione, non è sufficiente esprimere un generico dissenso verso la sentenza precedente. È fondamentale che i motivi siano specifici, pertinenti e in grado di contestare punto per punto la decisione del giudice. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce ancora una volta questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile per la sua manifesta genericità. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un imputato, condannato dalla Corte di Appello di Roma, ha presentato ricorso per Cassazione basando le proprie doglianze su diversi punti. In particolare, contestava la decisione dei giudici di merito di non concedergli le circostanze attenuanti generiche e di aver applicato la recidiva. Sosteneva, inoltre, di non essere stato informato della possibilità di accedere alle pene sostitutive, previste da una normativa recente. Infine, sollevava una questione relativa al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati.

L’Analisi della Cassazione e il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi presentati e li ha rigettati in blocco, ritenendoli affetti da una palese genericità. I giudici hanno osservato come il ricorrente si fosse limitato a riproporre le stesse questioni già ampiamente e puntualmente trattate dalla Corte di Appello, senza però confrontarsi in modo critico con la motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio, secondo la Corte, non è consentito in sede di legittimità.

La questione delle Pene Sostitutive

Un punto specifico del ricorso riguardava la presunta mancata informazione sulla possibilità di accedere alle pene sostitutive. La Corte ha liquidato questo motivo come manifestamente infondato. Ha infatti rilevato che la normativa di riferimento (d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31) era già in vigore al momento dell’emissione della sentenza d’appello. Di conseguenza, non sussisteva alcun obbligo informativo specifico da parte del giudice in quel contesto.

La Genericità come Vizio Capitale

Il cuore della decisione risiede nel concetto di genericità dei motivi. La Cassazione ha citato un proprio precedente (sentenza n. 44882/2014) per ribadire che le doglianze, quando sono meramente apparenti e non denunciano un reale errore logico o giuridico nella sentenza impugnata, non possono essere accolte. Un ricorso efficace deve individuare con precisione il vizio della decisione precedente e argomentare in modo specifico perché essa sia errata.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un organo che valuta la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. I giudici hanno stabilito che:

1. I motivi erano generici: Non affrontavano la puntuale motivazione della Corte di Appello sul diniego delle attenuanti e sull’applicazione della recidiva.
2. Mancava un confronto effettivo: Il ricorrente non ha sviluppato un’argomentazione critica contro le valutazioni del giudice di merito, rendendo il ricorso una mera ripetizione di istanze già respinte.
3. Il motivo sulle pene sostitutive era infondato: La normativa era già in vigore e pienamente applicabile al momento della decisione d’appello.
4. Il motivo sulla continuazione era privo di interesse: Il ricorrente non ha specificato quale fosse il suo interesse concreto a una rimodulazione della pena, che comunque sarebbe rimasta prevalentemente pecuniaria.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Come conseguenza diretta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa ordinanza rappresenta un monito importante: per accedere al giudizio di Cassazione, è indispensabile formulare motivi di ricorso specifici, tecnici e che dialoghino criticamente con la sentenza impugnata. Limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già valutate e respinte nei gradi di merito conduce quasi inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con l’ulteriore aggravio di spese e sanzioni.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile, come nel caso di specie, quando i motivi sono generici, ovvero non contestano in modo specifico e puntuale le ragioni esposte nella sentenza impugnata, ma si limitano a riproporre le stesse questioni già decise senza un confronto critico.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

L’imputato doveva essere specificamente informato sulla nuova legge sulle pene sostitutive?
No. Secondo la Corte, il motivo era manifestamente infondato perché la normativa sulle pene sostitutive era già in vigore al momento della sentenza d’appello, quindi era parte dell’ordinamento giuridico applicabile e non richiedeva una specifica informazione da parte del giudice in quel contesto processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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