Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46382 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46382 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SORA il 19/05/1974
avverso la sentenza del 25/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/03/2024 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Frosinone del 09/05/2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione in ordine ai reati di cui agli articoli 8 e 10 d. Igs. 74/2000, 81 cod. pen..
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con un primo motivo lamenta violazione di legge per assenza degli elementi costitutivi del reato, evidenziando un totale travisamento del fatto in relazione alla qualifica di amministratore del ricorrente.
2.2. Con un secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 10 d. Igs. 74/2000, lamentando un totale travisamento del fatto, per avere la sentenza impugnata omesso di valorizzare la circostanza che il ricorrente aveva consegnato la documentazione sociale a tale NOME NOMECOGNOME soggetto di fatto inesistente.
2.3. Con il terzo motivo lamenta mancanza e vizio di motivazione circa l’elemento psicologico del reato
2.4. Con il quarto motivo si duole della eccessività del trattamento sanzionatorio e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto si limita a riproporre pedissequamente le medesime doglianze già proposte con i motivi di appello e motivatamente disattese dal giudice del gravame.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale
(cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, cit.).
In dettaglio, la sentenza impugnata, infatti, quanto ai primi due motivi precisa (affol. 3) che l’estraneità del ricorrente alla gestione della compagine sociale non può certo essere desunta dalla dedotta cessione di quote e consegna di documenti a soggetto di fatto inesistente, posto che l’attività gestoria implica anche l’espletamento della necessaria diligenza nel verificare, quantomeno, l’esistenza dell’acquirente.
Diversamente argomentando, sarebbe sufficiente cedere a ignoti inesistenti soggetti la società per andare esenti da qualunque responsabilità.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza, a pagina 4, precisa che non sono sussistono motivi che potessero essere valorizzati al fine del riconoscimento delle circostanze attenuanti atipiche; né, del resto, tali elementi sono stati dedotti nel presente ricorso.
La sentenza impugnata fa buon governo dei principi elaborati d questa Corte, secondo cui «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 -01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, Sta race, Rv. 270986 – 01)».
Quanto alla dosimetria della pena, la Corte territoriale precisa che la reiterazione della condotta per un lasso di tempo significativo non consente di appiattire sul minimo il carico sanzionatorio, con ciò ottemperando all’onere di motivazione indicato da questa Corte (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv.
278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243 – 01).
Il ricorso, che con tale doppia, conforme, motivazione non si confronta affatto, limitandosi a riproporre le medesime censure dedotte con l’atto di appello, è pertanto inammissibile per genericità.
Va peraltro evidenziato che i primi due motivi di ricorso deducono testualmente il “travisamento del fatto”, vizio non deducibile in sede di legittimità, e che il motivo relativo alla mancanza dell’elemento psicologico del reato non era stato dedotto con i motivi di appello (come ricapitolati in sentenza; (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello vedi, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, n.m.; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME n.m.; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066) e deve quindi considerarsi tardivo.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.