Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31334 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESAGNE il 02/01/1984
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 18 ottobre 2024 la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Brindisi del 26 marzo 2024 con cui NOME NOME era stato condannato alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 73 comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo A); 337 e 61 n. 2 cod. pen. (capo B).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con tre distinti motivi: vizio di motivazione, per omessa valutazione di elementi di fatto significativi ai fini dell’esclusion della sua colpevolezza; violazione di legge in ordine all’omessa riqualificazione del fatto ascrittogli al capo A ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990; violazione di legge con riguardo all’erroneo riconoscimento della sua responsabilità penale per il delitto contestatogli al capo B.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima censura, deve essere osservato come essa sia del tutto generica e aspecifica, e, quindi, inidonea a rappresentare le ragioni di doglianza in fatto e in diritto e a confrontarsi in maniera adeguata con le motivazioni espresse dalla sentenza impugnata, che ha ben chiarito i motivi di riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato con riferimento alle fattispecie delittuose ascrittegli.
2.2. Parimenti inammissibile è il motivo relativo alla mancata riqualificazione del reato rubricato sub A ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che il riconoscimento dell’ipotesi della lieve entità richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena (cfr. Sez. 6, 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610-01).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entit alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruit si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
Risulta allora che, nel caso di specie, la Corte territoriale, correttamente valutando i plurimi e variegati dati probatori disponibili, ha offerto una motivazione pienamente adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità (cfr. pp. 6 e s. della sentenza impugnata), essendo stati posti in rilievo alcuni aspetti rivelatori dell professionalità con cui l’attività di spaccio veniva svolta da parte dell’imputato, perciò negando la ricorrenza della più lieve ipotesi sulla base di elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fini dell’esclusione della minima offensività.
2.3. Stesso giudizio deve essere espresso, infine, pure con riguardo alla conclusiva censura, considerato che essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello – nella quale erano state congruamente evidenziate le ragioni di riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di resistenza a un pubblico ufficiale rubricato al capo B (cfr. pp. 7 e s.) reitera le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò
solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025
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Il Consigliere estensore
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