Ricorso Inammissibile: la Cassazione conferma la pena se la motivazione è adeguata
Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 313/2024, ha affrontato un caso emblematico che chiarisce i limiti del sindacato di legittimità sulla determinazione della pena. La decisione sottolinea un principio fondamentale: se la Corte d’Appello ha già valutato e motivato in modo congruo la sanzione, anche in senso favorevole all’imputato, un ulteriore ricorso basato sulla stessa questione rischia di essere dichiarato ricorso inammissibile. Questo provvedimento offre spunti importanti sulla valutazione del comportamento post-delittuoso e sulla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.
I Fatti del Caso
Una donna veniva condannata in primo grado dal G.u.p. del Tribunale per reati gravi, tra cui la violazione della legge sugli stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/1990) e reati contro la persona (artt. 586 e 589 c.p.). In seguito, la Corte d’Appello di Brescia, pur confermando la condanna, provvedeva a mitigare il trattamento sanzionatorio. Nonostante questa riduzione di pena, la difesa dell’imputata decideva di proporre ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge proprio con riferimento alla pena applicata.
La Decisione della Corte e il Principio del Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. Questo tipo di decisione si verifica quando i motivi presentati dalla difesa appaiono, fin da una prima analisi, privi di qualsiasi pregio giuridico. Nel caso di specie, il ricorso inammissibile è scaturito dal fatto che le doglianze dell’imputata erano già state prese in considerazione e superate dalla decisione della Corte territoriale.
Le Motivazioni della Cassazione
I giudici di legittimità hanno evidenziato che la Corte d’Appello aveva compiutamente esaminato la posizione dell’imputata, anche per quanto riguarda l’entità della pena. Anzi, la corte di secondo grado aveva operato una riforma ‘in melius’, ovvero a favore della ricorrente, riducendo la sanzione. Tale mitigazione era stata il frutto di una specifica ‘valorizzazione del comportamento tenuto dalla ricorrente dopo il delitto’.
Poiché la Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta per la pena inflitta, considerando anche gli aspetti favorevoli all’imputata, la Cassazione ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per un ulteriore esame. Il ricorso, pertanto, si configurava come un tentativo di ottenere una terza valutazione sul merito della quantificazione della pena, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione, che può giudicare solo sulla legittimità delle decisioni.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce un concetto cruciale nel processo penale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio. Quando un giudice di merito, come la Corte d’Appello, ha già valutato tutti gli elementi a disposizione, inclusi quelli a favore dell’imputato, e ha fornito una motivazione adeguata e non contraddittoria sulla pena, un ricorso che si limiti a contestare tale valutazione senza evidenziare un reale vizio di legge sarà dichiarato inammissibile. La conseguenza diretta, come in questo caso, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della non fondatezza dell’impugnazione.
Per quale motivo è stato presentato il ricorso in Cassazione?
L’imputata ha proposto ricorso per contestare il trattamento sanzionatorio, ovvero la pena applicata dalla Corte d’Appello, sostenendo che vi fosse stata una violazione di legge.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha ritenuto il ricorso ‘manifestamente infondato’ perché la Corte d’Appello aveva già preso in adeguata considerazione la posizione dell’imputata, tanto da averle ridotto la pena valorizzando il suo comportamento positivo tenuto dopo la commissione del reato.
Quali sono state le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità?
La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 313 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 313 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MANTOVA il 29/04/1971
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN IDIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputata dei reati di cui agli artt. 73 d.P. R. n. 309 del 1990, 586 e 589 cod. pen. – ha proposto ric:orso per cassazione avverso la sentenza del 14/02/2023 (con cui la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la condanna in primo grado irrogata dal G.u.p. del Tribunale di Mantova, peraltro mitigando il trattamento sanzionatorio), deducendo violazione di legge con riferimento alla pena applicata;
ritenuto che la censura sia manifestamente infondata, avendo la Corte territoriale preso compiutamente in considerazione la posizione della COGNOME anche quanto al trattamento sanzionatorio, pervenendo ad una decisione di riforma, nel senso mitigatorio già richiamato, attraverso la valorizzazione del comportamento tenuto dalla ricorrente dopo il delitto (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata);
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2023
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