Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33694 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33694 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MANFREDONIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CHIETI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sulle conclusioni del Pubblico Ministero, che ha concluso come in atti.
Uditi i Difensori presenti, che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Bari il 7 marzo 2023, all’esito di un processo plurisoggettivo, in parziale riforma della sentenza, appellata dal Pubblico Ministero, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, sentenza con la quale il Tribunale di Foggia il 18 maggio 2021, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili delle violazioni, a ciascuno contestate, dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (COGNOME, capo n. 5 dell’editto, detenzione e cessione di due grammi di cocaina ad NOME COGNOME, il 30 novembre 2017; COGNOME, capo n. 31: concorso in detenzione a fine di cessione di un imprecisato quantitativo di cocaina, il 26 febbraio 2018 e nei giorni immediatamente successivi), in conseguenza condannando ciascuno, con le attenuanti generiche stimate per entrambi equivalenti alla riconosciuta recidiva, alla pena di giustizia, ed assolvendo invece, per non avere commesso il fatto, NOME COGNOME dal reato di cui al capo n. 17 (concorso in detenzione e cessione di due “panetti ” di cocaina, l’11 gennaio 2018), ha riconosciuto NOME COGNOME responsabile del reato contestato, qualificato come violazione dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, e, con le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di giustizia; con conferma quanto al resto.
2.Ricorrono per la cassazione della sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tramite i rispettivi Difensore di fiducia.
NOME COGNOME si affida a sei motivi con i quali denunzia violazione di legge e vizio di motivazione, che sarebbe mancante e contraddittoria.
3.1. Con il primo motivo, richiamata in sintesi la struttura motivazionale della sentenza impugnata, lamenta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e travisamento delle prove che hanno condotto all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.
Sarebbe stata violata la regola sull’onere della prova, incombente sempre sul P.M., e l’imputato non avrebbe mai ammesso la colpevolezza, né avrebbe mai “asseverato” il risultato dell’indagine, diversamente da quanto si legge alla p. 2 della sentenza di primo grado.
Si richiama il monito della giurisprudenza a valutare con prudenza il contenuto delle intercettazioni, specialmente ove le stesse siano poco chiare.
La condanna di COGNOME contrasterebbe vistosamente con l’intervenuta assoluzione di altri imputati (COGNOME e, almeno in parte, COGNOME) nello stesso processo.
3.2. Con il secondo motivo si censura vizio di motivazione. L’affermazione di responsabilità di COGNOME si baserebbe su elementi totalmente estranei alla sua condotta, avendo il cognato del ricorrente, NOME COGNOME, invitato a determinati incontri persone che nulla hanno a che vedere con COGNOME; e le conversazioni telefoniche alla base della condanna avrebbero contenuto non chiaro; nessun elemento o indizio serio dimostrerebbe il coinvolgimento di COGNOME.
3.3. Con il terzo motivo l’imputato si duole della violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, basandosi la condanna su mere deduzioni e su “presunzioni”, non già su prove.
3.4. Vi sarebbe, poi, contraddizione ed illogicità nell’affermare che, non essendo possibile quantificare la droga, consegue la qualificazione del reato nella violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, anziché, come sarebbe stato invece corretto e doveroso, pronunziare l’assoluzione di COGNOME.
3.5. Con il quinto motivo si lamenta mancanza di motivazione adeguata circa la mera equivalenza, anziché la prevalenza, delle circostanze attenuanti, essendosi già nell’atto di appello sottolineato che l’ultimo precedente dell’imputato è molto risalente nel tempo.
3.6. Tramite l’ultimo motivo si lamenta omissione di pronunzia rispetto alle deduzioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE con l’atto di appello.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi con quali il ricorrente denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
4.1. In particolare, con il primo motivo si duole della violazione degli artt. 69, 62-bis e 99 cod. pen. e 546 cod. proc. pen. e di vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva, il cui riconoscimento da parte della Corte di appello sarebbe assistito da motivazione inesistente ovvero comunque gravemente inadeguata.
In subordine, si chiede alla Corte di cassazione di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 cod. pen. nella parte in cui preclude, i taluni casi, il bilanciamento tra circostanze eterogenee.
4.2. Oggetto del secondo motivo di ricorso è la violazione degli artt. 546, 438 e 192 cod. proc. pen., in relazione al giudizio di inattendibilità del teste a difesa NOME COGNOME, al cui esame era stato subordinato il giudizio abbreviato, avendo invece COGNOME fornito un contributo conoscitivo che si stima assai importante nella prospettiva della RAGIONE_SOCIALE dell’imputato.
4.3. Infine, con il terzo motivo NOME COGNOME lamenta la violazione degli artt. 544 e 546, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62-bis cod. pen., quanto
al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che erano state richieste nell’interesse di COGNOME (così alla p. 5 del ricorso) e che andrebbero concesse, avendo l’imputato prestato consenso all’acquisizione di atti di indagine con valore di prova, così da far risparmiare al Tribunale tempo ed energie.
5. NOME COGNOME si affida a tre motivi.
5.1. Con il primo censura violazione di legge (art. 589 cod. proc. pen.) in quanto il Procuratore Generale, allorché, all’esito del giudizio di appello, ha concluso per l’assoluzione, in realtà ha – di fatto – rinunziato all’impugnazione proposta dal P.M. di primo grado, con conseguente passaggio in giudicato della decisione del Tribunale; non senza considerare, che, a seguito delle conclusioni liberatorie del P.G., il Difensore si è associato senza illustrare tutte argomentazioni difensive che altrimenti avrebbe potuto svolgere.
5.2. Con l’ulteriore motivo si denunzia difetto e contraddittorietà della motivazione della condanna, in quanto adottata nonostante la richiesta assolutoria del P.G. e sulla base di mere interpretazioni personali e non oggettive e di valutazioni solo generiche dei fatti, in dispregio del canone dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”: in particolare, quanto alla attribuibilità proprio a COGNOME di una determinata utenza telefonica, usata per colloqui poi intercettati, si è illegittimamente, erroneamente ed ingiustamente disattesa la tesi difensiva secondo cui chiunque poteva accedere al telefono intestato alla ditta “RAGIONE_SOCIALE“.
5.3. Infine, con il terzo motivo denunzia ulteriore difetto di motivazione per evidente contrasto tra il dispositivo e le conclusioni della sentenza quanto alla determinazione della sanzione, leggendosi nel dispositivo dattiloscritto in calce alla motivazione della sentenza (p. 9) che la pena finale è quattro anni di reclusione e 18.000,00 euro di multa, mentre nella motivazione (alla p. 6), oltre che nel dispositivo letto in udienza si legge che il fatto va riqualificato nel violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e che, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, si applica all’imputato la pena finale di un anno e sei mesi di reclusione e 1.200,00 euro di multa.
E’ stata tempestivamente chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE la discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso, mentre sono manifestamente infondati i ricorsi dei coimputati NOME COGNOME ed NOME COGNOME; per le seguenti ragioni.
2.Prendendo le mosse dal ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, si osserva che si tratta di impugnazione complessivamente aspecifica.
2.1. In particolare, quanto al primo motivo, esso è costruito in maniera meramente assertiva e lamenta la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., trascurando che, «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabili inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M, Rv. 274191-02) e che «In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo d provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame» (Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196-02).
Quanto al richiamo – critico – al contenuto di p. 2 della sentenza di primo grado, osserva il Collegio come, in realtà, in tale passaggio il Tribunale abbia dato atto che nessuno tra gli imputati ha disconosciuto o contestato la identificazione dei soggetti che intrattengono le conversazioni telefoniche; il che è ben diverso dall’affermare, come si legge alla p. 3 dell’impugnazione, che l’imputato abbia ammesso la propria colpevolezza ovvero abbia in qualche modo “avallato” le indagini. In ogni caso, si tratta di aspetto che non risulta essere stato previamente sottoposto al giudice di appello.
Né il ricorrente spiega perché la condanna di COGNOME sarebbe in contraddizione con l’assoluzione di altri imputati nello stesso processo, evenienza peraltro del tutto fisiologica nei reati contestati in concorso.
Infine, la denunzia di vizio di travisamento, non argomentata in alcun modo, è in contrasto con i seguenti, consolidati, principi di diritto:
«Il ricorso per cassazione con cui si contesti il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo
specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo» (tra le altre, Sez. 5, n. 21914 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 284517);
«Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado» (tra le numerose, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M, Rv. 283777).
2.2.Anche il secondo motivo è solo assertivo, oltre che costruito in fatto, essendo incentrato sulla affermata estraneità a COGNOME delle persone invitate a determinati incontri dal cognato dell’imputato, NOME COGNOME, e sull’apodittica affermazione circa la non chiarezza del contenuto delle intercettazioni, che invece è definito «inequivoco» dalla Corte di appello, che richiama specificamente le conversazioni del 25 febbraio 2018, ore 19.18, tra COGNOME e tale COGNOME, e la n. 146 del 5 marzo 2018 tra COGNOME ed il figlio (pp. 7-8 della sentenza impugnata); né il ricorrente indica specifici passaggi ipoteticamente censurabili e la ragione della critica.
2.3. Il terzo motivo è estremamente vago, limitandosi ad affermare la avvenuta violazione nel caso in esame della presunzione costituzionale di innocenza.
2.4. Il quarto motivo assume, in contrasto con l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, la necessità di assoluzione allorquando non sia possibile quantificare la droga di cui sia, però, certa l’esistenza, quale soluzione doverosa e preferibile rispetto alla intervenuta derubricazione del fatto in violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. al riguardo le pp. 4 e 24 della sentenza di primo grado in relazione ai capi nn. 5 e 31), derubricazione che, però, non risulta essere stata chiesto in appello, ove ci si è limitati a chiedere l’assoluzione dell’imputato dall’accusa di cui al capo n. 31) ovvero la riforma in melius del trattamento sanzionatorio.
2.5.11 quinto motivo è incentrato sulla mancata valutazione in termini di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche, senza confronto effettivo con la difforme valutazione della Corte territoriale, che (alla p. 8) ha ritenuto di dove attribuire significatività alla «corposità dei precedenti penali del COGNOME» e alla mancanza di ragioni per disattendere la valutazione in termini di equivalenza già effettuata dal Tribunale (alla p. 26). Si tratta di motivazione sufficiente, non illogica e non incongrua.
2.6.L’ultimo motivo è vistosamente aspecifico, lamentando (p. 7 del ricorso) la mancanza di risposta rispetto a questioni che nemmeno vengono richiamate.
Anche il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è totalmente aspecifico. Al riguardo si osserva quanto segue.
3.1. Con il primo motivo, alla p. 3, si domanda di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 cod. pen. nella parte in cui preclude, i taluni casi, il bilanciamento tra circostanze eterogenee, mentre nel caso di specie il bilanciamento è stato operato, sicchè il ricorrente intenderebbe porre una questione totalmente irrilevante nel caso di specie.
3.2. In relazione al secondo motivo, si fa riferimento ad un abbreviato condizionato (p. 4 del ricorso), trascurando che nel caso di specie si è celebrato il dibattimento ordinario.
3.3. In riferimento al terzo motivo (in disparte il richiamo, che si coglie alla p. 5, quartultima riga, del ricorso all’imputato COGNOME, non già a COGNOME), le attenuanti generiche non sono state negate ma, in realtà, riconosciute e stimate equivalenti.
Passando ora al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME (che – si rammenta – è stato assolto in primo grado, ma, su appello del P.M., condannato in appello) si osserva quanto segue.
4.1. Quanto al primo motivo, secondo cui il P.G., chiedendo l’assoluzione, avrebbe rinunziato all’appello, esso è manifestamente infondato, poiché, secondo costante, condivisibile, insegnamento di legittimità, «Non equivale a rinuncia all’impugnazione la richiesta del Procuratore generale che, nel giudizio d’impugnazione proposto dal pubblico ministero, solleciti la conferma del provvedimento di assoluzione impugnato» (ex plurimis, Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B, Rv. 284493).
4.2. Venendo al secondo motivo (sull’an della responsabilità e, in particolare, sulla attribuibilità di una determina utenza cellulare proprio all’imputato), non solo il ricorso propone temi in fatto ma alle pp. 5-6 della sentenza impugnata si rinviene congrua e idonea motivazione al riguardo, peraltro non adeguatamente aggredita dal ricorso.
4.3. Fondato è, invece, l’ultimo motivo, con il quale si sottolinea la discrasia – elevata – nella individuazione della pena tra dispositivo e motivazione. Infatti, la pena finale di un anno e sei mesi di reclusione e di 1.200,00 euro di multa che si legge sia alla p. 6 della motivazione della sentenza di appello sia, e specialmente, nel dispositivo pubblicato mediante lettura in udienza al termine della camera di consiglio il 7 marzo 2023 è in contraddizione, evidentemente per
una svista, con quanto, invece, si legge nel dispositivo della sentenza-documento (quattro anni di reclusione e 18.000,00 euro di multa) ed impone la rettifica, nel senso auspicato dall’imputato, cui può e deve provvedere la Corte di legittimità, ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen.
5.Discende dalle considerazioni esposte l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente alla misura della pena, che si rideterminata nella misura in dispositivo; con rigetto nel resto.
Essendo i ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, come si è visto, inammissibili e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima congrua e conforme a diritto, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla misura della pena, che ridetermina in anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 1.200,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della soma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/04/2024.