Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22882 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22882 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/12/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, in punto di prova della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 495 cod. pen., non è consentito in sede d legittimità;
che, invero, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici e decisiv travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, d credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con argomentazioni esenti da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento (si veda, in particolare, pag. 6);
considerato che il secondo motivo, con il quale si censura il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata, è manifestamente infondato in quanto si prospettano enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità;
che, invero, in tema di ricettazione, il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è esiguo, la tenuità deve essere sempre esclusa (Sez. 2, n. 29346 del 10/06/2022, Mazza, Rv. 283340);
che, inoltre, la valutazione del danno patrimoniale va fatta con riferimento al valore intrinseco della cosa oggetto del reato e, nel caso di autovettura, qualunque ne sia lo stato di vetustà (ma pur sempre funzionante), non può ravvisarsi quella speciale tenuità del danno alla quale la legge ricollega l’attenuazione della pena (Sez. 2, n. 30264 del 22/03/2017, Borriello, Rv. 270301);
che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato tali principi di diritto, ampiamente argomentando sul punto (si veda pag. 6);
osservato che l’ultimo motivo, con il quale si censura la completezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità, sostenendo che i giudici di appello non hanno esaminato tutte le censure sollevate con i motivi di
impugnazione, è privo dei requisiti prescritti, a pena di inammissibilità, 581 cod. proc. pen.;
che, invero, prospettando doglianze generiche, senza la puntuale indicazione non solo degli elementi a sostegno della censura formulata, ma anche del contenuto e della decisività delle questioni che si assumono irrisolte, non si consente al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
che, inoltre, in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, qualora risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata ed in assenza di deduzioni sulla decisività di quei rilievi, ove siano logicamente incompatibili con la decisione adottata;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 28 maggio 2024.