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Ricorso inammissibile: quando la Cassazione lo rigetta

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile contro una condanna per il reato di cui all’art. 393 c.p., poiché i motivi sono generici e manifestamente infondati. La decisione sottolinea un principio fondamentale: l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, anche se maturata dopo la sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando la Cassazione lo rigetta e blocca la prescrizione

Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è un’opzione sempre percorribile. Un ricorso inammissibile non solo viene respinto senza un esame del merito, ma può avere conseguenze molto gravi, come quella di impedire la dichiarazione di prescrizione del reato. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di questa dinamica processuale, delineando i confini tra un ricorso fondato e uno destinato al fallimento.

La Vicenda Processuale Oggetto dell’Ordinanza

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna, che aveva confermato una condanna per il reato previsto dall’articolo 393 del codice penale (esercizio arbitrario delle proprie ragioni). L’imputato, ritenendo la sentenza ingiusta, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale e un vizio di motivazione.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Corte

Secondo la Suprema Corte, i motivi presentati dal ricorrente erano connotati da una “intrinseca genericità”. Invece di contestare specifici passaggi logici o giuridici della sentenza d’appello, il ricorso si limitava a evocare in modo astratto l’errore di diritto e il vizio di motivazione. La Corte ha sottolineato che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito era solida, in quanto basata su elementi di prova convergenti: le dichiarazioni della persona offesa, la conferma fornita dal figlio e quanto osservato direttamente dai Carabinieri intervenuti sul posto. In assenza di vizi di illogicità evidenti, la valutazione dei fatti non poteva essere messa in discussione in sede di legittimità.

Il Principio Cardine: il ricorso inammissibile e l’Ostacolo alla Prescrizione

Il punto cruciale della decisione risiede nel rapporto tra l’inammissibilità del ricorso e la prescrizione del reato. Nel caso di specie, il termine di prescrizione era maturato dopo la pronuncia della sentenza d’appello impugnata. In teoria, la Cassazione avrebbe dovuto prenderne atto e dichiarare il reato estinto.

Tuttavia, la Corte ha ribadito un principio consolidato, richiamando una sentenza delle Sezioni Unite (n. 32 del 2000): un ricorso inammissibile, a causa della sua manifesta infondatezza, non è in grado di instaurare un valido rapporto processuale di impugnazione. Di conseguenza, questa condizione preclude alla Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause di non punibilità sopravvenute, come la prescrizione. In altre parole, un ricorso “viziato” all’origine non consente al ricorrente di beneficiare di eventi favorevoli successivi.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte sono state nette e si sono basate su due pilastri. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato meramente evocativo di vizi, senza una critica puntuale e specifica alla sentenza impugnata. La ricostruzione probatoria del giudice di merito, fondata su più fonti coerenti, è stata ritenuta logica e priva di vizi. In secondo luogo, è stato applicato il principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza congela la situazione giuridica al momento della sentenza di secondo grado, impedendo di rilevare la prescrizione maturata successivamente. L’assenza di un valido rapporto di impugnazione rende impossibile per la Corte pronunciarsi su questioni che non siano l’inammissibilità stessa.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Tale decisione ha comportato due conseguenze dirette per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: l’accesso alla Corte di Cassazione richiede motivi seri, specifici e giuridicamente fondati. Un ricorso generico o palesemente infondato non solo non porterà all’annullamento della sentenza, ma esporrà il ricorrente a sanzioni economiche e gli impedirà di beneficiare di cause di estinzione del reato come la prescrizione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti sono stati ritenuti dalla Corte intrinsecamente generici e manifestamente infondati, limitandosi a evocare errori senza individuare specifici vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata.

Se un reato si prescrive dopo la sentenza d’appello, la Cassazione può dichiarare la prescrizione anche se il ricorso è inammissibile?
No. Secondo l’ordinanza, l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza non consente la formazione di un valido rapporto di impugnazione. Questo preclude alla Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause di non punibilità, come la prescrizione, maturate dopo la sentenza impugnata.

Quali sono state le conseguenze economiche per la persona che ha presentato il ricorso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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