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Ricorso inammissibile: quando la Cassazione lo rigetta

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. La decisione si fonda sul fatto che i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di argomentazioni già esaminate e respinte con logica e coerenza dalla Corte d’Appello, in particolare riguardo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con un precedente reato. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Conferma la Decisione della Corte d’Appello

Quando si presenta un ricorso in Cassazione, non è sufficiente dissentire dalla decisione precedente; è necessario presentare argomenti solidi e, soprattutto, nuovi. Un recente provvedimento della Suprema Corte ha ribadito questo principio fondamentale, dichiarando un ricorso inammissibile perché i motivi addotti erano una semplice riproposizione di censure già vagliate e respinte nei gradi di giudizio precedenti. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere i limiti e i requisiti di un’impugnazione di legittimità.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. L’imputato, non soddisfatto della sentenza della Corte d’Appello di Salerno, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione. Il punto centrale del suo ricorso era la richiesta di riconoscimento del cosiddetto “vincolo della continuazione” con un analogo delitto per il quale era già stato condannato in precedenza dal Tribunale di Vallo della Lucania. In pratica, l’imputato sosteneva che i due reati fossero parte di un unico disegno criminoso e che, pertanto, dovesse beneficiare di un trattamento sanzionatorio più favorevole.

L’Analisi della Cassazione sul Ricorso Inammissibile

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, esaminati gli atti, ha rapidamente concluso per l’inammissibilità del ricorso. I giudici hanno osservato che le argomentazioni presentate dal ricorrente non introducevano alcun elemento di novità rispetto a quanto già discusso e deciso dalla Corte d’Appello. Le doglianze, infatti, sono state definite “riproduttive di censure già vagliate dalla Corte territoriale”. Quest’ultima le aveva già disattese con un “puntuale e logico apparato argomentativo, privo di fratture logiche”. In sostanza, il ricorso non contestava specifici vizi logici o giuridici della sentenza impugnata, ma si limitava a ripetere le stesse tesi difensive, sperando in un esito diverso.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine della procedura penale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che si limita a riproporre le medesime questioni già decise, senza evidenziare vizi specifici della sentenza di secondo grado, è privo dei requisiti di legge e deve essere dichiarato inammissibile. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse immune da censure, in quanto ben motivata e coerente. Pertanto, la riproposizione delle stesse argomentazioni si è tradotta in un tentativo di ottenere un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità. Questa decisione sottolinea l’importanza di strutturare un ricorso per cassazione su vizi di legittimità concreti e non su una generica riproposizione delle proprie tesi.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente a due pagamenti. Il primo riguarda le spese processuali sostenute dallo Stato. Il secondo, ben più gravoso, è una sanzione pecuniaria di tremila euro da versare alla Cassa delle ammende. Questa sanzione ha una funzione deterrente, volta a scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o meramente dilatori, che sovraccaricano inutilmente il sistema giudiziario. La decisione serve quindi da monito: l’accesso alla Corte di Cassazione è riservato a questioni di diritto serie e fondate, e un suo abuso comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non possiede i requisiti richiesti dalla legge. Nel caso specifico, è stato ritenuto tale perché si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte in modo logico e puntuale dalla Corte territoriale, senza presentare nuovi vizi di legittimità.

Cosa significa che le censure sono “riproduttive” di quelle già vagliate?
Significa che gli argomenti e le critiche presentate nel ricorso sono una mera copia di quelli già esposti nel precedente grado di giudizio (in questo caso, davanti alla Corte d’Appello) e che il giudice precedente li aveva già analizzati e rigettati con una motivazione adeguata.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questa ordinanza è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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