Ricorso inammissibile: la Cassazione chiarisce i requisiti
Un ricorso inammissibile rappresenta uno degli ostacoli più comuni nel percorso verso l’ultimo grado di giudizio. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che portano a questa declaratoria, offrendo spunti cruciali per chiunque si appresti a impugnare una sentenza penale. Questo caso specifico, relativo a una condanna per spaccio di sostanze stupefacenti, illustra perfettamente quali errori evitare per non vedersi chiudere le porte della Suprema Corte.
I Fatti del Caso e la Sentenza d’Appello
Il ricorrente era stato condannato in via definitiva a una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 18.000 euro, per il reato previsto dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti. La Corte d’Appello aveva confermato la sua colpevolezza basandosi su un solido quadro probatorio, che includeva attività di appostamento, sequestri a carico di acquirenti, informazioni testimoniali e risultanze di intercettazioni e pedinamenti satellitari. Da queste prove emergeva una capillare e continuativa attività di cessione di stupefacenti.
L’Impugnazione in Cassazione e i Motivi del Ricorso
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre principali motivi di doglianza:
1. Violazione delle norme sulla prova (art. 273 c.p.p.): Una contestazione generica sulla valutazione del materiale probatorio.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.): Il ricorrente lamentava che il giudice non avesse adeguatamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti.
3. Errata determinazione della pena (art. 81 c.p.): Si contestava l’assenza di una motivazione specifica sui passaggi che avevano portato alla quantificazione della sanzione.
Le ragioni del rigetto e il ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile nella sua interezza, fornendo una chiara lezione sui limiti del giudizio di legittimità. I giudici hanno sottolineato che il ricorso era generico e mirava a una rivalutazione dei fatti, un’operazione preclusa alla Suprema Corte, che può giudicare solo sulla corretta applicazione del diritto (‘errori di diritto’) e non sul merito delle prove (‘errori di fatto’).
le motivazioni
La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso. In primo luogo, ha evidenziato come il primo motivo fosse una mera riproduzione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata. Le prove, secondo i giudici, dimostravano ‘oltre ogni ragionevole dubbio’ l’attività di spaccio.
In secondo luogo, riguardo alle attenuanti generiche, la Cassazione ha affermato che il ricorrente non si era confrontato con la motivazione della Corte d’Appello, la quale aveva correttamente giustificato il diniego sulla base della ‘mancanza di elementi positivi di giudizio’.
Infine, sul terzo motivo, la Corte ha richiamato un principio consolidato: non è necessaria una motivazione dettagliata sulla pena quando questa viene fissata al di sotto della ‘media edittale’. I giudici hanno anche precisato il corretto metodo di calcolo di tale media, chiarendo che non si ottiene semplicemente dimezzando il massimo della pena, ma calcolando il punto intermedio tra il minimo e il massimo edittale.
le conclusioni
La declaratoria di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche significative per il ricorrente. In base all’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è inammissibile per colpa del proponente, quest’ultimo viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata equitativamente fissata in 3.000,00 euro. Questa ordinanza serve da monito: un ricorso per cassazione deve essere tecnicamente impeccabile, specifico e focalizzato esclusivamente su questioni di diritto, altrimenti il rischio di una declaratoria di inammissibilità, con le relative conseguenze economiche, è estremamente concreto.
Quando un ricorso in Cassazione è considerato inammissibile?
Un ricorso è considerato inammissibile quando è generico, non critica in modo specifico la sentenza impugnata, si limita a ripetere argomentazioni già respinte nei gradi precedenti, o tenta di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività che non è permessa alla Corte di Cassazione.
È sempre necessaria una motivazione dettagliata per la determinazione della pena?
No. Secondo quanto stabilito dalla Corte, una motivazione specifica e dettagliata sulla quantificazione della pena non è richiesta quando la sanzione irrogata è inferiore alla ‘media edittale’, ovvero il punto intermedio tra la pena minima e massima prevista per quel reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, quest’ultimo è condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, stabilita dal giudice, in favore della Cassa delle ammende. Nel caso di specie, la somma è stata fissata a 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12463 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12463 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 20/08/1981
avverso la sentenza del 15/01/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME – condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: 1) violazione dell’art. 273 cod. proc. pen.; 2) violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizi della motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; 3) violazione dell’art. 81 cod. pen., in ordine alla mancata indicazione dei singoli passaggi che hanno portato alla determinazione della pena.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché generico e diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa al sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che il primo motivo di doglianza è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici di merito (pag. 11 del provvedimento) e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata, non tenendo conto dell’ampia motivazione offerta dalla Corte di appello, la quale evidenzia come le attività di appostamento, i sequestri operati nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, le sommarie informazioni rese da questi ultimi e da altri clienti, le informazioni provenienti dal pedinamento satellitare e le risultanze dell’attività di intercettazione provano, oltre ogni ragionevole dubbio, come COGNOME svolgesse una capillare attività di cessione di sostanze stupefacenti;
che il secondo motivo di doglianza è inammissibile, perché non tiene conto della motivazione della sentenza impugnata (pag. 13) che, del tutto correttamente, attribuisce rilievo alla mancanza di elementi positivi di giudizio;
che il terzo motivo di ricorso è inammissibile, dal momento che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (ex multis, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288);
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.