Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità
L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione definisca i confini del proprio operato, dichiarando un ricorso inammissibile quando questo esula dai limiti del giudizio di legittimità. Il caso riguarda una condanna per truffa, ma i principi espressi sono applicabili a un’ampia gamma di procedimenti penali.
Il Caso: Dalla Condanna per Truffa al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di truffa. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, confermata dalla Corte d’Appello, l’imputato era stato ritenuto penalmente responsabile. Un elemento chiave dell’accusa era la titolarità di una carta prepagata sulla quale era confluito il profitto illecito derivante dal reato. Di fronte a questa evidenza, l’imputato non aveva fornito alcuna spiegazione alternativa valida.
Insoddisfatto della sentenza di secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali: l’erronea applicazione della legge penale per presunta assenza di prove e la scorrettezza della pena inflitta.
Analisi del Ricorso Inammissibile
La Corte Suprema ha esaminato entrambi i motivi di ricorso, giungendo alla medesima conclusione per entrambi: l’inammissibilità. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione.
Primo Motivo: Il Divieto di Rivalutare i Fatti
Il ricorrente sosteneva che mancasse la prova della sua responsabilità penale. La Cassazione ha prontamente respinto questa argomentazione, qualificandola come un tentativo di ottenere una nuova e diversa lettura dei dati processuali e una differente ricostruzione dei fatti.
Questo tipo di richiesta è preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte di Cassazione, infatti, non è un “terzo grado” di merito; il suo compito non è rivalutare le prove (come farebbe un investigatore o un giudice di primo grado), ma assicurarsi che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente le norme di legge e che la loro motivazione sia logica e non contraddittoria. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione “esaustiva e conforme alle risultanze processuali”, basata su apprezzamenti di fatto logici, il motivo è stato ritenuto inammissibile.
Secondo Motivo: La Genericità della Doglianza sulla Pena
Il secondo motivo di ricorso contestava il trattamento sanzionatorio, ovvero la pena inflitta. Anche in questo caso, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ma per una ragione diversa: la genericità.
Secondo l’art. 581 del codice di procedura penale, chi presenta un’impugnazione deve indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che la sorreggono. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a contestare la correttezza della pena senza specificare quali elementi fossero stati erroneamente valutati dalla Corte d’Appello. Una censura così formulata non permette al giudice dell’impugnazione di comprendere il rilievo mosso e, di conseguenza, di esercitare il proprio controllo.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri del nostro sistema processuale. Primo, la netta distinzione tra il giudizio di merito, dove si accertano i fatti, e il giudizio di legittimità, dove si controlla la corretta applicazione del diritto. Il ricorrente ha tentato di trasformare la Cassazione in un terzo giudice del fatto, operazione non consentita. Secondo, il principio di specificità dei motivi di impugnazione. Non è sufficiente lamentarsi di una decisione; è necessario spiegare in modo chiaro e preciso, con riferimenti legali e fattuali, perché quella decisione sarebbe sbagliata. La Corte ha ritenuto che la ricostruzione dei giudici d’appello fosse completa e razionale, fondata su un apprezzamento dei fatti non qualificabile come contraddittorio o manifestamente illogico, e quindi non sindacabile in questa sede.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la conferma definitiva della condanna per l’imputato. Oltre a ciò, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione pratica: un ricorso per Cassazione deve essere redatto con estrema perizia tecnica, concentrandosi esclusivamente su vizi di legittimità (errori di diritto o motivazioni illogiche) e articolando le proprie censure in modo specifico e dettagliato. Tentare di riaprire la discussione sui fatti è una strategia destinata al fallimento.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché il primo motivo era basato su una richiesta di rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e il secondo motivo, relativo alla pena, era generico e non specificava le ragioni della contestazione come richiesto dalla legge.
Cosa può valutare la Corte di Cassazione in un ricorso penale?
La Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, il che significa che può valutare esclusivamente se la legge è stata applicata correttamente e se la motivazione della sentenza impugnata è logica e non contraddittoria. Non può riesaminare le prove o accertare nuovamente i fatti.
Qual è stata la conseguenza pratica per il ricorrente?
La dichiarazione di inammissibilità ha reso definitiva la sentenza di condanna. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10631 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10631 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CESENA il 17/07/1960
avverso la sentenza del 19/06/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
osservato che il primo motivo di ricorso, che deduce l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606 comma 1 lett. b) in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., in particolare lamentando l’assenza di prova mediante cui poter affermare la penale responsabilità per il delitto di truffa, non è consentito poiché è articolato esclusivamente in fatto e sulla base di una diversa lettura dei dati processuali e di una differente ricostruzione storica dei fatti e, pertanto, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti;
considerato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, hanno indicato gli elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato ascritto (si veda pag. 3 della sentenza impugnata ove correttamente si considera quale elemento decisivo la titolarità della carta postepay su cui è confluito il profitto del reato, in assenza di una valida spiegazione alternativa), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, è generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che correttamente conferma la congruità della pena irrogata, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.