Ricorso Inammissibile: Le Conseguenze della Ripetizione dei Motivi in Cassazione
Quando si arriva al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione, è fondamentale comprendere le regole del gioco. Non basta avere ragione, bisogna saperla far valere nel modo corretto. Un recente provvedimento, l’ordinanza n. 27984/2024, ci offre uno spunto cruciale su un errore da non commettere mai: presentare un ricorso inammissibile perché meramente riproduttivo di argomenti già discussi e respinti nei gradi precedenti. Questo articolo analizza la decisione e le sue pesanti conseguenze economiche per il ricorrente.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. Il ricorrente, attraverso il suo legale, aveva sollevato due motivi di censura incentrati sul diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale. Si tratta di una norma che consente di non punire l’autore di un reato quando il danno o il pericolo causato è di minima entità e il comportamento non è abituale. Evidentemente, sia in primo che in secondo grado, i giudici avevano ritenuto che non sussistessero i presupposti per applicare tale beneficio.
L’Analisi della Cassazione: Un Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte, esaminati gli atti, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione è netta e serve da monito: i motivi presentati non erano altro che una pedissequa riproposizione delle stesse argomentazioni già adeguatamente vagliate e motivatamente respinte dalla Corte territoriale. In pratica, l’atto di ricorso non muoveva una critica specifica e nuova alla sentenza d’appello, ma si limitava a ripetere le doglianze precedenti nella speranza di un esito diverso. Questo approccio è contrario alla funzione stessa del giudizio di legittimità, che non è un terzo grado di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge da parte dei giudici precedenti.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha ritenuto che il ricorso fosse inammissibile perché deduceva due motivi meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoriale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che non è sufficiente ripresentare le stesse questioni, ma è necessario individuare vizi specifici nella motivazione della sentenza impugnata, dimostrando dove e perché il giudice d’appello avrebbe sbagliato nell’applicare la legge o nel valutare le prove. La mancanza di questa specificità rende l’impugnazione un esercizio sterile, destinato a essere respinto senza un esame del merito.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità è stata pesante. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha richiamato una sentenza della Corte Costituzionale (n. 186 del 2000) per ribadire che tale sanzione pecuniaria è una conseguenza quasi automatica, a meno che non si dimostri che il ricorso è stato proposto senza colpa. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: adire la Corte di Cassazione richiede un’attenta preparazione e la formulazione di censure precise e pertinenti. Un ricorso “fotocopia” non solo è inutile, ma espone il cliente a costi significativi, trasformando un tentativo di difesa in un ulteriore danno economico.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Perché i motivi presentati erano una mera riproduzione di questioni già esaminate e respinte con corretti argomenti giuridici dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuove e specifiche critiche alla sentenza impugnata.
Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
La persona che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
La condanna al pagamento della somma alla Cassa delle ammende è sempre prevista in caso di inammissibilità?
Sì, a meno che il ricorrente non riesca a dimostrare di aver proposto il ricorso senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, come stabilito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27984 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27984 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LICATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché deduce due motivi meramente riproduttivi di profili di censura in ordine al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte territoria vedano le pagine 2 e 3 della sentenza);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in l’avore della Cassa dell ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14 giugno 2024.