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Ricorso inammissibile: quando la Cassazione lo rigetta

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una sentenza di condanna per resistenza a pubblico ufficiale. I motivi sono stati giudicati come una mera riproposizione di doglianze già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, oltre che manifestamente infondati. L’ordinanza chiarisce che la violenza ex art. 337 c.p. non deve necessariamente essere rivolta alla persona del pubblico ufficiale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Conferma la Condanna per Resistenza a Pubblico Ufficiale

L’esito di un processo non sempre si conclude con i gradi di merito. Spesso, la difesa tenta un’ultima via presentando un ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, non tutti i ricorsi superano il vaglio di ammissibilità. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di ricorso inammissibile, spiegando perché la semplice riproposizione di argomenti già trattati non sia sufficiente per ottenere una revisione della sentenza.

Il caso in esame: un appello respinto

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Milano, che aveva confermato una condanna nei confronti di un imputato. Non soddisfatto della decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a tre diversi motivi di censura. Il suo obiettivo era ottenere l’annullamento della condanna, contestando sia aspetti procedurali, sia l’interpretazione della norma penale applicata, sia l’entità della pena.

Tuttavia, la Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha ritenuto non meritevole di accoglimento nel merito, fermandosi a una valutazione preliminare di ammissibilità.

I motivi del ricorso inammissibile secondo la Suprema Corte

La Corte ha stabilito che il ricorso fosse palesemente inammissibile per due ragioni principali: la natura ripetitiva dei motivi e la loro manifesta infondatezza. Questo tipo di valutazione è cruciale, poiché impedisce alla Cassazione di entrare nel vivo della questione se i presupposti legali per il ricorso non sono rispettati.

La riproposizione di censure già esaminate

Il primo e più significativo ostacolo per il ricorrente è stato il fatto che i suoi motivi di ricorso non erano originali. Essi si limitavano a riprodurre le stesse argomentazioni e doglianze già presentate e, soprattutto, già attentamente valutate e respinte con motivazioni giuridicamente corrette dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha sottolineato che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito dove poter ridiscutere i fatti, ma serve a controllare la corretta applicazione del diritto. Riproporre le stesse questioni senza individuare un vizio di legge specifico nella sentenza impugnata rende il ricorso inammissibile.

La violenza nel reato di resistenza: un chiarimento fondamentale

Un punto specifico del ricorso riguardava l’interpretazione dell’art. 337 del codice penale (resistenza a un pubblico ufficiale). Il ricorrente sosteneva che le sue condotte non integrassero il reato perché la violenza o la minaccia non erano state dirette fisicamente contro la persona del pubblico ufficiale. La Corte ha liquidato questo motivo come manifestamente infondato, richiamando un principio consolidato in giurisprudenza: per la configurazione del reato, non è necessario che l’atto violento o minaccioso colpisca direttamente il pubblico ufficiale. È sufficiente che sia idoneo a ostacolare l’attività di servizio, anche se rivolto verso oggetti.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su principi procedurali e sostanziali ben radicati. In primo luogo, il principio di autosufficienza del ricorso impone che l’atto di impugnazione contenga tutti gli elementi per essere compreso e valutato, senza che il giudice debba cercare altrove le ragioni della critica. Un ricorso che si limita a ripetere argomenti già disattesi viola questo principio e si rivela una sterile reiterazione. In secondo luogo, citando precedenti specifici (Cass. Pen., Sez. 6, n. 3682/1997), la Corte ha ribadito che la nozione di ‘violenza’ o ‘minaccia’ nell’art. 337 c.p. è ampia e finalizzata a tutelare il corretto svolgimento della funzione pubblica, non solo l’incolumità fisica dell’agente. Di fronte a motivi così concepiti, la Corte non ha potuto fare altro che dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La decisione ha due conseguenze immediate e concrete per il ricorrente. La prima è la condanna al pagamento delle spese processuali. La seconda, più onerosa, è il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria prevista proprio per i casi di ricorso inammissibile, volta a disincentivare impugnazioni pretestuose o dilatorie. Questa ordinanza serve da monito: il ricorso in Cassazione è uno strumento straordinario di tutela della legalità, non un’ulteriore opportunità per ridiscutere il merito di una vicenda già vagliata da due gradi di giudizio.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi presentati non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, ad esempio perché sono una semplice riproduzione di censure già adeguatamente valutate e respinte dal giudice di merito, oppure perché sono manifestamente infondati.

Per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, la violenza deve essere diretta contro la persona dell’agente?
No. Secondo quanto ribadito dalla Corte, per configurare il reato di cui all’art. 337 del codice penale, non è necessario che la violenza o la minaccia siano usate direttamente sulla persona del pubblico ufficiale.

Cosa succede quando un ricorso penale viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte nel caso specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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