Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32806 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TRICARICO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a GRAFELFING( GERMANIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; ritenuto che tutti i motivi di ricorso proposti nell’interesse dei ricorrenti, con i quali si contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui agli artt. 110, 628 commi 1 e 3, n. 1, terza ipotesi cod. pen., non sono deducibili in sede di legittimità perché fondati su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, in particolare, il primo motivo di ciascun ricorso, con cui si contestano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione del compendio probatorio e, per le sole posizioni di COGNOME e COGNOME, alla richiesta riqualificazione del reato contestato in quello di cui all’art. 393 cod. pen., sulla base della diversa lettura dei dati processuali o di una diversa ricostruzione storica dei fatti o comunque di un diverso giudizio di attendibilità delle fonti di prova, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, le pagine da 8 a 11 della sentenza impugnata) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
ritenuto inoltre che anche gli ulteriori motivi di ricorso proposti nell’interesse dei ricorrenti, con i quali si contesta l’eccessività della pena e la mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 628 comma 3, n. 1, terza ipotesi cod. pen., non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità e devono considerarsi manifestamente infondati perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che, nella specie, l’onere argomentativo dei giudici di merito risulta adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti
decisivi o rilevanti (si vedano, in particolare le pagine 12 e 13 della sentenza impugnata);
ritenuto, infine, che il motivo di ricorso proposto dal solo COGNOME, con cui si censura il mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del delitto di rapina, prevista dalla sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024 non è consentito in sede di legittimità in ordine al denegato riconoscimento da parte del giudice di appello, qualora la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata, neppure con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni (cfr. in motivazione sul punto: Sez. 2, n. 44819 del 20/11/2024, Rodi, non massimata);
che, invero, più in generale, va ribadito che il mancato esercizio del poteredovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (cfr. Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063 – 02; Sez. 7, ord. n. 16746 del 13/01/2015, Ciaccia, Rv. 263361 – 01);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 15 luglio 2025.