Ricorso inammissibile: la Cassazione chiude il caso
Quando si arriva all’ultimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione, non tutte le argomentazioni sono valide per riaprire una discussione. Un’ordinanza recente ci offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile non solo non porti al risultato sperato, ma comporti anche conseguenze economiche significative per chi lo propone. Analizziamo insieme questa decisione per capire i criteri che guidano i giudici supremi.
I Fatti di Causa
Il caso nasce da una condanna penale. L’imputata, dopo la sentenza di primo grado, aveva presentato appello. La Corte d’Appello, riesaminando il caso, aveva accolto parzialmente le sue ragioni: pur confermando la colpevolezza, aveva escluso l’aggravante della recidiva e, di conseguenza, aveva ridotto la pena a nove mesi di reclusione e 300 euro di multa. Questa pena era stata definita “largamente inferiore alla media edittale” prevista dalla legge per quel tipo di reato.
Nonostante questa riduzione, la difesa decideva di proseguire, presentando ricorso alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni sollevate, ma si ferma a un livello preliminare, stabilendo che il ricorso non possiede i requisiti minimi per essere discusso. La conseguenza diretta è stata la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: un ricorso inammissibile perché ripetitivo
La ragione fondamentale dietro la decisione di inammissibilità risiede nella natura stessa del ricorso presentato. I giudici hanno rilevato che le argomentazioni della difesa non erano nuove, ma si limitavano a riprodurre “deduzioni già adeguatamente vagliate e disattese dai giudici di merito”. In pratica, si chiedeva alla Cassazione di riesaminare questioni che avevano già trovato una risposta esauriente nelle sentenze precedenti.
Inoltre, la Corte ha dato peso al fatto che la Corte d’Appello aveva già operato una significativa riduzione della pena, dimostrando di aver considerato attentamente la posizione dell’imputata. Presentare un ricorso basato sugli stessi punti già sconfitti, senza introdurre nuove e valide questioni di legittimità, rende l’impugnazione manifestamente infondata e, quindi, inammissibile.
Le Conclusioni: le implicazioni pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di merito. Il suo compito non è rivalutare i fatti, ma assicurare la corretta applicazione della legge. Un ricorso inammissibile perché generico o ripetitivo è uno spreco di risorse giudiziarie.
La condanna al pagamento di una somma cospicua alla Cassa delle ammende funge da deterrente, scoraggiando la presentazione di ricorsi palesemente infondati che hanno il solo scopo di ritardare l’esecuzione di una sentenza. Per i cittadini, la lezione è chiara: un ricorso in Cassazione deve essere fondato su vizi di legittimità concreti e specifici, altrimenti il rischio è quello di veder confermata la condanna e di dover affrontare ulteriori spese.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile perché riproponeva argomentazioni già esaminate e respinte dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, senza sollevare nuove questioni di diritto.
Quali sono state le conseguenze economiche per la ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
La pena era già stata ridotta prima del ricorso in Cassazione?
Sì, la Corte d’Appello aveva già ridotto la pena originaria, escludendo l’aggravante della recidiva e determinando una sanzione (nove mesi di reclusione e 300 euro di multa) considerata ampiamente inferiore alla media prevista dalla legge per quel reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3941 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il ricorso presentato dal difensore di NOME COGNOME riproduce deduzioni già adeguatamente vagliate e disattese dai giudici di merito e, in particolare, che, dopo avere escluso la recidiva applicata con la sentenza di condanna in primo grado, la Corte di appello ha ridotto la pena rideterminandola in misura (nove mesi di reclusione e euro 300 di multa) largamente inferiore alla media edittale della pena prevista dall’art. 334, comma 2, cod. pen. (Sez. 6, n. 747 del 07/12/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283);
ritenuto, pertanto, che il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Prgidente