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Ricorso inammissibile: quando il narcotest basta

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un individuo condannato per detenzione ai fini di spaccio di 10,1 grammi di marijuana. L’imputato sosteneva la mancanza di prova sulla capacità drogante della sostanza, ma la Corte ha ritenuto il ricorso generico e ripetitivo. È stato stabilito che le prove raccolte, inclusa la suddivisione in dosi, la cessione osservata e i risultati del narcotest, erano sufficienti a confermare la condanna, rendendo non necessaria una perizia tecnica più complessa.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Spaccio: la Cassazione Conferma la Sufficienza del Narcotest

In materia di stupefacenti, la prova della colpevolezza deve essere rigorosa. Tuttavia, quando un’impugnazione si rivela generica e non centra il punto della questione, la Corte di Cassazione può dichiarare il ricorso inammissibile, senza entrare nel merito. Una recente ordinanza ci offre uno spunto di riflessione su questo tema, chiarendo come le circostanze del fatto e un semplice narcotest possano essere sufficienti a fondare una condanna per spaccio.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso

Il procedimento nasce dalla condanna, confermata in primo e secondo grado, di un soggetto per il reato di detenzione ai fini di spaccio. L’imputato era stato trovato in possesso di 10,1 grammi di marijuana, già suddivisa in sei bustine pronte per la vendita. La pena inflitta era di sei mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa, aggravata dalla recidiva infraquinquennale.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, basandosi su un unico motivo: la violazione delle norme sulla formazione della prova. In particolare, si lamentava che non fosse stata raggiunta la certezza della capacità drogante della sostanza, data l’assenza di un accertamento tecnico specifico, e che non fosse stata provata l’incompatibilità del quantitativo con un uso puramente personale.

La Decisione della Cassazione: I Motivi del Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per due ragioni principali.

In primo luogo, il motivo presentato è stato giudicato non specifico e diretto a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare le prove, ma un organo che controlla la corretta applicazione della legge.

In secondo luogo, la difesa si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte con adeguata motivazione dalla Corte d’Appello. Un ricorso che non si confronta criticamente con le ragioni della sentenza impugnata è destinato a essere dichiarato inammissibile.

Il Valore Probatorio del Narcotest e le Circostanze del Fatto

La Corte ha sottolineato come la motivazione della sentenza d’appello fosse completa e coerente. I giudici di merito avevano correttamente basato la loro decisione su una serie di elementi convergenti:

* L’attività di spaccio del soggetto.
* La mancanza di una lecita occupazione, che rende meno credibile la detenzione per uso personale.
* La suddivisione della droga in dosi, tipica modalità di preparazione per la vendita.
* L’osservazione diretta di un’avvenuta cessione.
* La sufficienza del narcotest per confermare la natura stupefacente della sostanza e la sua capacità drogante.

Questo insieme di prove è stato ritenuto più che adeguato per fondare un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ribadito un principio fondamentale: l’appello in sede di legittimità non può trasformarsi in una richiesta di rilettura del quadro probatorio già attentamente vagliato dai giudici di merito. La difesa non aveva evidenziato vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza impugnata, ma si era limitata a riproporre doglianze già esaminate e motivatamente disattese. La Corte ha quindi confermato che la valutazione complessiva delle circostanze fattuali (modalità di confezionamento, assenza di lavoro, cessione osservata) e l’esito del narcotest costituivano un impianto probatorio solido e sufficiente a giustificare la condanna, senza la necessità di ulteriori e più complessi accertamenti tecnici sulla sostanza.

Le conclusioni

In conclusione, la pronuncia stabilisce che, ai fini della condanna per spaccio, la prova della capacità drogante non richiede necessariamente una perizia tossicologica formale. Un narcotest, inserito in un contesto probatorio solido e caratterizzato da plurimi indizi (come la suddivisione in dosi), può essere pienamente sufficiente. L’ordinanza serve anche da monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici e critici nei confronti della sentenza impugnata, evitando la mera riproposizione di argomenti già respinti, pena la declaratoria di inammissibilità e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto non specifico, diretto a una rivalutazione dei fatti (non consentita in Cassazione) e perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello.

È sempre necessario un accertamento tecnico per provare la capacità drogante di una sostanza stupefacente?
No, secondo questa ordinanza non è sempre necessario. La Corte ha ritenuto sufficiente il narcotest, se inserito in un quadro probatorio coerente che include altri elementi come l’attività di spaccio, la suddivisione in dosi e l’osservazione di una cessione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, oltre alla conferma della condanna, l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese del procedimento e di versare una somma di denaro (in questo caso 3.000,00 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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