Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44168 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44168 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MEINA il 03/06/1945
avverso la sentenza del 25/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
letta altresì la memoria con la quale sono stati addotti ulteriori argomenti a sostegno delle medesime doglianze;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di assunzione di una nuova prova ex art. 507 cod. proc. pen. – con particolare riferimento all’esame del responsabile commerciale della RAGIONE_SOCIALE, non è consentito perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito alle pagg. 5-6 della sentenza impugnata, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che parimenti reiterativi e, pertanto, non consentiti risultano essere il secondo ed il terzo motivo di ricorso che lamentano, rispettivamente, la sussistenza del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. e la sua mancata riqualificazione nella fattispecie di cui all’art.316-ter cod. pen.;
che il giudice di merito ha esplicitato, con corretti argomenti logici e giuridici, le ragioni del suo convincimento sia in ordine alla sussistenza degli elementi del reato ascritto ed il relativo compendio probatorio (pagg. 6-7 della sentenza oggetto di ricorso) sia in merito alla impossibilità di riqualificazione il reato nei termini richiesti dal ricorrente (cfr. pag. 7);
considerato che il giudizio sulla pena – oggetto del quarto motivo di ricorso è stato congruamente motivato (cfr. pag. 7) in considerazione delle modalità del fatto, ove si consideri che per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo;
ritenuto che la doglianza oggetto del quarto motivo di ricorso e relativa alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondata in presenza (si veda pag. 8 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826);
osservato, inoltre, che il quinto motivo di ricorso, che lamenta la mancata concessione delle pene sostitutive è manifestamente infondato avendo il giudice di appello, con congrui e non illogici argomenti, indicato le ragioni ostative all’applicazione del suddetto beneficio (cfr. pag. 8);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2024.