Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21873 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21873 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in MAROCCO il 27/08/1992 avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale meneghino del 23 febbraio 2024, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 635 cod. pen. per mancanza di querela, procedendo alla rideterminazione della pena per il residuo reato ascritto all’imputato (tentata rapina).
Presentando ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato ha dedotto due distinti motivi incentrati sulla erronea applicazione della legge penale in relazione
alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche (primo motivo) e dei benefici di legge (secondo motivo).
In relazione al primo profilo, la sentenza, adducendo, a fondamento del diniego, l’assenza di elementi positivamente valutabili, non ha operato una valutazione comprensiva di fattori di segno positivo quali la condotta collaborativa ed il disagio sociale ed economico del giovane.
In relazione al secondo profilo, la motivazione è totalmente carente.
Il ricorso è inammissibile, per plurime ragioni.
3.1 II primo motivo è manifestamente infondato. Esso non considera che il trattamento sanzionatorio, sotto ogni aspetto, appartiene alla discrezionalità del giudice di merito, la cui valutazione, riflessa nella motivazione, non è in questa sede sindacabile se non per contraddittorietà o manifesta illogicità. Ebbene, nessuno dei parametri indicati, unici idonei ad elevare la generica doglianza avverso la motivazione in critica di legittimità (art. 606, comma 1, lett. e, cod proc. pen.), è stato evocato nel primo motivo che, infatti, si limita a ripetere, con le modalità argomentative proprie dell’appello, un motivo già ‘speso’ innanzi alla Corte d’appello, ed a cui la Corte ha risposto in maniera non contraddittoria né manifestamente illogica.
3.2 Nemmeno il secondo motivo merita accoglimento, nonostante la Corte d’appello abbia effettivamente omesso di pronunciarsi sulla richiesta applicazione all’imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena, dopo averne puntualmente sintetizzato i termini a pg. 3 della motivazione.
L’omissione, tuttavia, vitiatur sed non vitiat, dato che a sua volta, per le modalità in cui era stata formulata nell’atto di appello, la richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena era del tutto generica. Nell’impugnazione di merito, infatti, la difesa si era limitata, in termini possibilist ed ipotetici, a negare la fondatezza della conclusione cui era giunto il primo giudice, della impossibilità di formulare, a favore dell’imputato, una prognosi favorevole sull’astensione da future ricadute nel delitto, per la presenza di altri episodi analoghi, quasi coevi. Nessuna indicazione ‘sradicante’, quindi, idonea a contestare l’assunto su cui era fondata la decisione di primo grado, con cui il motivo non si era pertanto realmente confrontato.
Né si può sostenere che in appello la critica fosse sufficiente, potendo il giudice integrare aspetti eventualmente carenti del motivo, in forza del favor impugnationis: come ricordato dalla sentenza COGNOME (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268823 – 01), già prima della riforma dell’art.581 cod. proc. pen, con l’introduzione del comma 1 -bis, “il principio del favor
impugnationis …
non può che operare nell’ambito dei rigorosi limiti rappresentati dalla natura intrinseca del mezzo di impugnazione, che è delineata non solo
dall’art. 597, comma 1, ma anche dall’art. 581, comma 1, lettera c)… la necessità
della specificità estrinseca dei motivi di appello trova fondamento nella considerazione che essi non sono diretti all’introduzione di un nuovo giudizio, del
tutto sganciato da quello di primo grado” perché “il giudizio di appello non può e non deve essere inteso come un giudizio a tutto campo… l’impugnazione deve, in
altri termini, esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi
della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto”. In altri termini, motivo d’appello deve sempre confrontarsi con il punto che contesta, senza
limitarsi ad una mera, immotivata, richiesta di rivalutazione.
La genericità del motivo può essere rilevata in questa sede, ora per allora.
Costituisce infatti ius receptum
di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, che l’inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità
motivi può essere rilevata anche in Cassazione ai sensi dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen. (cfr., Cass. Pen., 2, 9.6.2017 n. 36.111, PG in proc. P) e che, per altro verso, deve ritenersi inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez 6, n. 47722 del 6/10/2015, COGNOME, Rv. 265878 – 01; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 263157 – 01).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. GLYPH Così de iso il 20 marzo 2025