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Ricorso inammissibile: quando i motivi sono generici

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due imputate condannate per furto e uso indebito di carte di pagamento. La decisione si fonda sulla genericità e sulla natura meramente ripetitiva dei motivi di un ricorso, e sul principio di consumazione del diritto di impugnazione per l’altro. La sentenza ribadisce che un ricorso inammissibile non può essere sanato dalla proposizione di motivi nuovi, sottolineando i rigorosi requisiti di specificità richiesti per adire la Suprema Corte.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Ribadisce i Requisiti di Specificità

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato i rigorosi criteri di ammissibilità dei ricorsi, chiarendo che un ricorso inammissibile non può essere “salvato” dalla presentazione successiva di motivi aggiunti. La decisione scaturisce da un caso di furto in abitazione e indebito utilizzo di strumenti di pagamento, ma le sue implicazioni procedurali sono di portata generale e servono da monito sull’importanza della precisione e della specificità nella redazione degli atti di impugnazione.

La Vicenda Processuale

Il caso ha origine dalla condanna in primo grado di due donne per i reati previsti dagli articoli 624-bis (furto in abitazione) e 493-ter (indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento) del codice penale. La Corte di Appello, in parziale riforma della prima sentenza, aveva rideterminato il trattamento sanzionatorio. Contro questa decisione, entrambe le imputate hanno proposto ricorso per cassazione tramite i rispettivi difensori, ma con esiti negativi.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte

La Suprema Corte ha esaminato separatamente i due ricorsi, dichiarandoli entrambi inammissibili per ragioni diverse ma ugualmente significative.

Il Ricorso della Prima Imputata: Genericità e Reiterazione

Il primo ricorso è stato giudicato privo di specificità. La Corte ha osservato che i motivi presentati erano una mera riproposizione delle doglianze già sollevate in appello e motivatamente respinte dai giudici di secondo grado. L’imputata, in sostanza, non aveva mosso una critica puntuale e argomentata alla sentenza impugnata, ma si era limitata a ripetere le proprie tesi. In particolare, riguardo al diniego delle attenuanti generiche, la Cassazione ha ricordato che è sufficiente un congruo riferimento da parte del giudice di merito agli elementi ritenuti decisivi, come avvenuto nel caso di specie.

Il Ricorso Inammissibile della Seconda Imputata e il Principio di Consumazione

La posizione della seconda imputata era ancora più complessa. Il suo difensore aveva presentato due distinti ricorsi.
Il primo è stato ritenuto inammissibile perché, oltre ad essere generico e versato in fatto, mancava di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto a sostegno.

Il secondo ricorso è stato dichiarato inammissibile sulla base del principio di consumazione del diritto di impugnazione. La Corte ha spiegato che, una volta presentato il primo ricorso, il diritto di impugnare si era esaurito. Anche volendo considerare il secondo atto come ‘motivi aggiunti’, la sua sorte era segnata dall’inammissibilità del primo: il vizio radicale del ricorso originario si trasmette inevitabilmente ai motivi nuovi, essendo questi ultimi ad esso indissolubilmente legati. La Corte ha inoltre sottolineato che i motivi del secondo ricorso erano comunque manifestamente infondati, sia riguardo alla nozione di ‘privata dimora’ (che, secondo giurisprudenza consolidata, include anche luoghi di lavoro), sia riguardo alla generica richiesta di applicazione di una pena sostitutiva.

Le Motivazioni della Cassazione

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di due principi cardine del processo penale di legittimità.
In primo luogo, un ricorso per cassazione deve contenere una critica specifica e giuridicamente argomentata contro la decisione impugnata. Non è sufficiente riproporre le stesse questioni già decise, ma è necessario dimostrare l’errore di diritto commesso dal giudice precedente.

In secondo luogo, vige il principio della consumazione del diritto di impugnazione. Una volta che si è scelto di presentare un ricorso, non è possibile presentarne un altro per lo stesso provvedimento, né è possibile sanare un ricorso geneticamente viziato (e quindi inammissibile) tramite la proposizione di motivi aggiunti. Questo meccanismo impedisce spostamenti surrettizi dei termini per impugnare e garantisce la certezza e la stabilità dei rapporti processuali.

Conclusioni

L’ordinanza in esame costituisce un importante promemoria per gli operatori del diritto. La redazione di un ricorso per cassazione richiede non solo una profonda conoscenza del merito della causa, ma anche un’estrema attenzione agli aspetti tecnici e procedurali. La genericità, la ripetitività e gli errori strategici, come la presentazione di un’impugnazione multipla o tardiva, conducono inesorabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Tale esito non solo preclude un esame nel merito delle ragioni del cliente, ma comporta anche la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, aggravandone la posizione.

Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile per genericità?
Un ricorso è considerato generico e quindi inammissibile quando si limita a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e respinte nei gradi di giudizio precedenti, senza confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata e senza indicare in modo puntuale le ragioni di diritto che ne giustificherebbero l’annullamento.

È possibile sanare un ricorso inammissibile presentando dei ‘motivi aggiunti’?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che l’inammissibilità del ricorso originario non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi. Il vizio del primo atto si trasmette ai motivi aggiunti, rendendo anch’essi inammissibili, in virtù del vincolo di connessione che li lega.

Un ufficio o uno studio professionale rientra nella nozione di ‘privata dimora’ per il reato di furto?
Sì. Secondo la giurisprudenza consolidata citata nell’ordinanza, la nozione di privata dimora ai fini dell’articolo 624-bis del codice penale comprende anche i luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale, purché in essi si svolgano, non occasionalmente, atti della vita privata e non siano aperti al pubblico o accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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