Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7840 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7840 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FERMO il 11/03/1977
avverso la sentenza del 06/02/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME e i motivi nuovi; ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in punto di prova della penale responsabilità per il reato di truffa, oltre ad essere privo dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen., non è consentito in questa sede;
che, invero, la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per l’assenza di correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, queste non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità;
che, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello abbia rinviato per relationem al primo grado, l’onere deduttivo del ricorrente non può ritenersi assolto in maniera specifica dolendosi dell’utilizzo di questa tecnica, in quanto si tratta di una fisiologica evenienza processuale, che diventa patologica solo allorquando la conforme valutazione dissimuli la totale mancanza di motivazione su questioni specifiche all’epoca eccepite in sede di appello e che vanno chiaramente allegate, confrontandosi con l’apparato motivazionale sottoposto a critica, per come integrato dalle argomentazioni del primo giudice;
che, inoltre, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (cfr. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 – 01), le doglianze difensive dell’appello, meramente riprodotte in questa sede (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la carenza di motivazione in relazione all’art. 131-bis cod. pen., oltre ad essere del tutto generico, non è consentito in questa sede;
che, invero, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata;
che, nella specie, la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto specificamente contestare nel ricorso, se incompleto o comunque non corretto (si vedano pagg. 3 e 4);
considerato che anche gli ulteriori motivi, con i quali si contesta l’eccessività della pena, l’applicazione della recidiva e la mancata concessione della sospensione condizionale, oltre ad essere privi di concreta specificità, non sono consentiti in sede di legittimità;
che, invero, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena – anche in relazione agli aumenti per le circostanze – e il diniego dei benefici di legge – basato su un giudizio prognostico negativo circa la futura astensione dal commettere ulteriori reati – sfuggono al sindacato di legittimità laddove le relative determinazioni, sorrette da sufficiente motivazione, non siano state frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, in particolare, l’onere argomentativo del giudice può ritenersi adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale;
che, quanto alla sospensione condizionale, il giudice del merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, rimanendo disattesi e superati tutti gli altri da tale valutazione;
che, infine, in relazione al riconoscimento della recidiva, l’onere argomentativo del giudice deve ritenersi adeguatamente assolto laddove sia esaminata in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., l’esistenza non solo del presupposto formale, ma anche di quello sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla più elevata capacità a delinquere del reo;
che, nel caso in esame, i giudici dell’appello hanno sufficientemente esplicitato, con argomentazioni esenti da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento (si vedano pagg. 5 e 6);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 novembre 2024.