Ricorso inammissibile: l’importanza della specificità dei motivi
Presentare un ricorso in Cassazione richiede non solo una profonda conoscenza del diritto, ma anche un’estrema precisione nella formulazione delle censure. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci ricorda come la genericità dei motivi possa portare a una declaratoria di ricorso inammissibile, con conseguenze economiche significative per il ricorrente. Analizziamo il caso per comprendere i principi applicati.
I Fatti del Processo
La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di tentato furto in abitazione aggravato. La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta all’imputata in due anni di reclusione e 464,00 euro di multa.
Contro questa decisione, la difesa dell’imputata proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale. In sostanza, si contestava la logicità e la coerenza del ragionamento seguito dai giudici d’appello nel confermare la responsabilità penale.
La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. Questa decisione non è entrata nel merito delle argomentazioni difensive, ma si è fermata a un livello preliminare, quello dei requisiti di ammissibilità dell’atto di impugnazione.
La Corte ha stabilito che il motivo unico presentato era affetto da “genericità per indeterminatezza”, poiché non rispettava i requisiti prescritti dall’articolo 581 del codice di procedura penale. Questo ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per la ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione della Suprema Corte è chiara e didattica. Il ricorso è stato considerato inammissibile perché, a fronte di una sentenza d’appello la cui motivazione era stata giudicata “logicamente corretta”, la difesa si è limitata a “mere considerazioni teoriche”.
In altre parole, l’atto di ricorso non indicava in modo specifico e puntuale gli elementi della sentenza impugnata che si ritenevano viziati. Non basta affermare genericamente che la motivazione è illogica; è necessario, ai fini dell’ammissibilità, specificare quali passaggi del ragionamento del giudice sono errati, da quali prove emergerebbe tale errore e perché. Il ricorso non permetteva al giudice dell’impugnazione di “individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato”. Mancava, quindi, quella specificità che è un onere imprescindibile per chi impugna una decisione.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: l’atto di impugnazione deve essere un dialogo critico e specifico con la sentenza che si contesta, non una generica lamentela. Per evitare una declaratoria di ricorso inammissibile, è essenziale che i motivi siano formulati in modo chiaro, dettagliato e autosufficiente, indicando precisamente le parti della motivazione criticate e le ragioni giuridiche o logiche di tale critica. In assenza di questi elementi, il ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, con la conseguenza di rendere definitiva la condanna e di aggiungere un ulteriore onere economico per il ricorrente.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e indeterminato. La parte ricorrente si è limitata a formulare considerazioni teoriche senza indicare specificamente gli elementi della sentenza impugnata che intendeva contestare, violando i requisiti di specificità richiesti dall’art. 581, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso stabilita in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Qual era il reato per cui l’imputata era stata condannata?
L’imputata era stata condannata dalla Corte d’Appello per il reato di tentato furto in abitazione aggravato (ex art. 625 comma 2 cod. pen.), con una pena di due anni di reclusione e 464,00 euro di multa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27056 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27056 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputata COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano di condanna per il reato di tentato furto in abitazione aggravato ex art. 625 comma 2 cod. pen., ha rideterminato la pena inflitta all’imputata in quella di anni due di reclusione ed euro 464,00 di multa;
Rilevato che il motivo unico di ricorso – con cui la parte ricorrente denunzia inosservanza dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione al giudizio di penale responsabilità – è generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, si limita a mere considerazioni teoriche e non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 giugno 2024.