Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32723 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32723 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME natct a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2025 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia del Tribunale locale del 5 febbraio 2024, con la quale COGNOME NOME veniva condannata in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv, 624 e 625, comma 1, n. 4, cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge nonché carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al giudizio di affermazione della responsabilità, sostenendo la mancanza di prova certa circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di furto in contestazione, ritenendo che non sia, a tal fine, sufficiente la testimonianza della persona offesa. Lamenta, altresì, l’eccessività del trattamento sanzionatorio comminato, contestando il mancato giudizio di prevalenza delle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen. rispetto alla contestata aggravante, nonché il mancato riconoscimento della clausola di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità. Gli stessi, in particolare, lungi dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente e correttamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello, lamentando, in maniera del tutto generica e aspecifica, una presunta carenza della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto – e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità della prevenuta, adeguatamente evidenziando la sussistenza, nel caso di specie, degli elementi integrativi del furto in contestazione. A tal fine, per i giudici del gravame del merito, le dichiarazioni della persona offesa, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare in quanto caratterizzate da chiarezza, precisione e concordanza, non costituiscono l’unico riscon-
tro probatorio, trovando esse significativo conforto nei fotogrammi delle telecamere di videosorveglianza installate all’interno dell’esercizio commerciale, dai quali emerge, in modo inequivoco, l’identificazione dell’odierna imputata quale autrice del furto denunciato.
2.2. Quanto alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen., la Corte territoriale, rispondendo alla specifica richiesta sul punto, ha argomentatamente e logicamente motivato il diniego dell’invocata causa di non punibilità, valorizzando, da un lato, le modalità della condotta e l’entità della refurtiva e, dall’altro, la sussistenza di un precedente specifico, idoneo ad escludere il requisito della non abitualità richiesto dalla norma.
La sentenza si colloca nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590). Tuttavia, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (così Sez. 7, Ordinanza n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01; conf. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 – 01).
2.3. Con riferimento agli ulteriori profili di doglianza, peraltro del tutto generici ed aspecifici, la Corte territoriale ha, infine, dato atto di ritenere corretto il ricon scimento delle circostanze attenuanti generiche da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante della destrezza e alla recidiva, stante i numerosi precedenti penali di cui la stessa risultava gravata.
La sentenza impugnata è dunque conforme al consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell’8/6/2017; COGNOME, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Montanino Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, COGNOME, Rv. 229298). Inoltre, una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti
dal giudice nella determinazione della pena si richiede solo nel caso in cui la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. di irrogare come disposto nel caso di specie – una pena in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 27124301; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356 01; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alia condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2025