Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13448 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato a COMO il 25/08/1982
avverso la sentenza del 18/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe e con la quale è stata condannata in relazione al reato previsto dall’art.186, comma 2, lett.c), commi 2bis e 2sexies, d.lgs. n.285/1992.
Il ricorso è inammissibile.
Con i primi due motivi di impugnazione, la ricorrente ha contestato la sussistenza della propria penale responsabilità, sulla base di deduzioni (inerenti alle modalità di esecuzione dell’alcoltest e sulla dedotta falsità della firma apposta sul verbale di accertamenti urgenti redatto dalla p.g.).
Va quindi osservato che questa Corte ha costantemente ribadito come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., all’inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, COGNOME non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, COGNOME, Rv. 221693).
E, altresì, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970).
Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto, la pronunzia impugnata reca appropriata motivazione immune da vizi logico-giuridici in relazione alla responsabilità della ricorrente, fondandosi sul complesso dell’istruzione dibattimentale e sulla complessiva aspecificità della censura inerente la genuinità del verbale.
Il motivo di ricorso attinente al diniego delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
A tale proposito va ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente; nel caso di specie, quindi, la Corte territoriale ha congruamente dato atto della mancanza di qualsiasi elemento positivo idoneo a giustificare l’applicazione delle relative circostanze attenuanti anche alla luce del comportamento concretamente tenuto dalla ricorrente, connotato da grave imprudenza e dall’assenza di resipiscenza.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11 marzo 2025