Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2510 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2510 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME SUMMONTE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
PRATO LA
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, per la parte civile, che ha depositato nota spese e conclusioni alle quali si è riportato, associandosi alle conclusioni del Procuratore generale;
udito l’AVV_NOTAIO , per l’imputato ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata emessa il 10 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Napoli, che ha confermato la decisione del Tribunale di Avellino che aveva condanNOME NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 48, 479 cod.
pen. per avere indotto in errore il Giudice istruttore del Tribunale di Avellino in ordine all’originalità della scrittura privata del contratto di compravendita relativo al mobilio di cinque camere da letto stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE” con l’acquirente NOME COGNOME, a danno del quale otteneva decreto ingiuntivo per la somma di euro 23.180, somma che riguardava il pagamento dell’intero prezzo, mentre erano stati già corrisposti da COGNOME due acconti. All’imputato era contestato anche il reato di cui all’art. 485 cod. pen. per avere contraffatto l’esemplare in suo possesso della proposta di acquisto del mobilio, indicando come da ricevere somme già corrisposte, reato per cui l’imputato era stato assolto in primo grado con la formula ‘perché il fatto non è previsto dalla legge come reato’, vista la depenalizzazione della fattispecie.
Il Tribunale – con argomentazioni condivise dalla Corte di appello – ha ritenuto comprovata la sola effettiva dazione del primo acconto, mentre ha reputato non attendibile la persona offesa quanto al secondo.
Avverso la sentenza anzidetta l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Sostiene il ricorrente che la falsità della documentazione che era alla base del decreto ingiuntivo non era stata accertata giudizialmente e che il provvedimento giudiziario era stato emesso sulla scorta di un’ampia serie di documenti, non contestati, donde alcun vantaggio sarebbe derivato alla RAGIONE_SOCIALE dalla falsificazione che viene addebitata al prevenuto. Il ricorrente contesta, quindi, che si sia potuto attribuire credito alla persona offesa, secondo la quale gli acconti sarebbero stati pagati in contanti, quindi con sistema non tracciabile e “in nero”, con il rischio di trovarsi esposti ad un ricatto del COGNOME, considerato che questi aveva già ricevuto lettere R.R. di RAGIONE_SOCIALE e dei suoi legali in cui si evidenziava la fornitura di parte degli arredi.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al coefficiente soggettivo del reato, ritenuto nonostante l’effettiva falsità della documentazione prodotta in giudizio non sia stata accertata attraverso inequivoci e decisivi elementi di prova. La Corte di merito rinviando alla sentenza di primo grado – non avrebbe tenuto conto della decisiva circostanza per cui nel dibattimento non erano emersi elementi per ritenere che la persona offesa avesse corrisposto i due acconti, saldando a stralcio il residuo debito e finendo per pagare 11.000 euro mobilio del valore di 29.000 euro.
Il ricorso contesta la conclusione della Corte distrettuale, secondo cui era stata corrisposta la somma di 3000 euro a titolo di acconto nonostante non
risultasse la firma di COGNOME, e la conclusione secondo cui l’emissione del decreto ingiuntivo per la somma di 23.180 euro era frutto di un errore indotto. La valutazione frazionata dalla testimonianza della persona offesa – prosegue il ricorso – non era corretta, in quanto vi erano interferenze fattuali e logiche tra la parte ritenuta inattendibile – quella concernente la dazione della somma successiva alla prima – e quella credibile – la parte relativa al primo acconto. Il ragionamento della Corte di appello – secondo cui la documentazione prodotta proverebbe il versamento dei due acconti – non tiene conto del fatto che i due originali recano scritture diverse ed è viziato quando ha ritenuto non credibile che l’imputato si fosse determiNOME a effettuare la fornitura senza avere ricevuto alcun acconto. Il ricorrente, in sede di esame, aveva chiarito che la modifica dell’ordine di acquisto era stata concordata con COGNOME, che era animato solo dalla volontà di contrastare la pretesa di COGNOME di ottenere il pagamento dell’intero importo. La Corte di merito avrebbe impropriamente svalutato la circostanza significativa in bonam partem che l’ipotetico accordo raggiunto tra persona offesa e imputato era avvenuto in maniera non tracciabile, con il rischio di poter subire un ricatto da parte di COGNOME. Quest’ultimo non aveva contestato le richieste di pagamento dei legali di COGNOME, manifestando l’intenzione di risolvere bonariamente la vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità perché sono fatti di enunciati critici che indulgono nel merito della regiudicanda.
1.1. La Corte di merito, infatti, ha diffusamente motivato circa le ragioni del mancato accoglimento dei motivi di appello, valutando positivamente le dichiarazioni della persona offesa in uno alla acclarata falsificazione dell’esemplare del documento in possesso di COGNOME, richiamando alcune considerazioni svolte dal Giudice di prime cure a supporto della tesi della falsificazione e svolgendone di proprie. In particolare, Il Tribunale aveva ritenuto provata la falsificazione della ricevuta concernente il primo acconto perché – a differenza degli altri il pagamento della caparra era indicato su entrambe le copie del contratto e tale anticipo corrisponde alla pratica commerciale per garantire la serietà dell’ordine e coprire una parte dei costi di produzione. Circa la tesi dedotta dall’appellante, la Corte di merito ha escluso che la produzione del mobilio e la sua consegna potessero essere avvenuti senza il pagamento di un acconto perché si trattava di mobili su misura, in quanto tale condotta non
appare consona alla esperienza di un soggetto avvezzo a questo tipo di transazioni. Quanto alla tesi propugnata dall’imputato – e ripresa nell’atto di appello – secondo cui l’emissione della fattura per l’intero importo ad aprile 2013 sarebbe un elemento a discarico – la Corte territoriale ha offerto una motivazione non manifestamente illogica laddove ha interpretato il dato in senso opposto, sostenendo che l’emissione della fattura, con gli oneri fiscali che vi si collegano, è poco conciliabile con un’interazione commerciale che non aveva visto neanche il pagamento di un acconto.
1.2. Di fronte a queste riflessioni, il ricorrente sviluppa considerazioni critiche che, sia pur ampie, non colgono falle logiche nel ragionamento probatorio, ma tendono ad una rivisitazione del giudizio di merito che non può essere devoluta alla Corte di cassazione.
Riguardo all’approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all’esegesi – fatta propria anche dalle Sezioni Unite – secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv.
273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME e altri, Rv. 238215).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186). L’esito odierno del giudizio comporta, altresì, la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in euro 3100, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3100,00, oltre accessori di legge.
Così deciso 1’1/12/2023.