Ricorso Inammissibile: Quando la Valutazione dei Fatti è Definitiva
Presentare un ricorso in Cassazione richiede una profonda comprensione dei limiti del giudizio di legittimità. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce ancora una volta perché un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile quando si tenta di rimettere in discussione i fatti già accertati nei precedenti gradi di giudizio. Questo caso, riguardante la detenzione di sostanze stupefacenti, offre un esempio lampante dei principi che governano il processo penale e i poteri della Corte di Cassazione.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Reggio Emilia e successivamente dalla Corte di Appello di Bologna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, previsto dall’art. 73, comma 3, del d.P.R. 309/1990. La pena era stata fissata in 6 mesi di reclusione e 1.032,00 euro di multa.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato era stato trovato, a seguito di un controllo e di una perquisizione, in possesso di una quantità di stupefacente definita ‘non bagatellare’. La sostanza era già suddivisa in dosi, confezionata e pronta per la vendita. A questo si aggiungeva l’assenza di un’attività lavorativa lecita, elemento che, secondo le corti, rafforzava il quadro indiziario a suo carico, delineando un’ipotesi di spaccio come fonte di reddito.
La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Inammissibile
L’imputato, non soddisfatto della decisione della Corte d’Appello, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge riguardo alla sua ritenuta responsabilità penale. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile.
La Corte ha innanzitutto ribadito la natura del proprio giudizio: il controllo del Giudice di legittimità non può consistere in una rilettura degli elementi di fatto o in una nuova valutazione delle prove. Il suo compito è limitato a verificare la coerenza logica e strutturale della motivazione della sentenza impugnata. Qualsiasi tentativo di sollecitare una diversa interpretazione delle prove si scontra con i limiti invalicabili del giudizio di Cassazione.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha osservato che le censure mosse dal ricorrente, sebbene mascherate da vizi di motivazione, miravano in realtà a ottenere una nuova e più favorevole lettura delle emergenze processuali. Questo, come sottolineato, non è consentito. La Corte territoriale aveva, secondo i giudici di legittimità, fornito una lettura coerente e logica dell’intera vicenda.
Il quadro indiziario a carico dell’imputato era stato definito ‘granitico’ e basato su elementi concreti e convergenti:
1. Il possesso di sostanza stupefacente: la quantità non era irrilevante.
2. Le modalità di presentazione: la droga era già divisa in dosi e confezionata, indicando una chiara destinazione alla vendita.
3. L’assenza di un lavoro lecito: questo elemento, sebbene marginale nell’economia dell’argomentazione, completava il quadro, suggerendo lo spaccio come probabile fonte di sostentamento.
La tesi difensiva, che contestava il mancato accertamento dell’assenza di un lavoro, è stata ritenuta meramente assertiva e insufficiente a scalfire la solidità della motivazione della Corte d’Appello. Di conseguenza, non essendo stato riscontrato alcun vizio manifesto di logica o di applicazione della legge, il ricorso è stato dichiarato inammissibile in toto.
Le Conclusioni
La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la Corte di Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio di merito. Non si possono riproporre questioni di fatto già ampiamente vagliate e decise dai giudici dei primi due gradi. Un ricorso, per essere ammissibile, deve denunciare vizi specifici di violazione di legge o di manifesta illogicità della motivazione, senza trasformarsi in una richiesta di nuova valutazione delle prove. La declaratoria di inammissibilità comporta, come in questo caso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a sottolineare la serietà dell’abuso dello strumento processuale.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché le censure del ricorrente non denunciavano vizi di legge o illogicità della motivazione, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, compito che non spetta al giudice di legittimità.
Quali elementi hanno convinto i giudici della colpevolezza dell’imputato?
I giudici hanno ritenuto solido il quadro indiziario basato sul possesso di una quantità non trascurabile di stupefacente, già suddiviso in dosi e confezionato per la vendita, unito all’assenza di un’attività lavorativa lecita, che indicava lo spaccio come probabile fonte di reddito.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, equitativamente fissata, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata di 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8246 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8246 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con sentenza del 26 aprile 2023 la Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza del 6 aprile 2021 del Tribunale di Reggio Emilia ha determinato in mesi 6 di reclusione ed euro 1.032,00 di multa la pena complessivamente inflitta a COGNOME per il reato di cui all’art. 73 comma 3 del d.P.R. 309/1990.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione, tramite il quale l’imputato ha lamentato il vizio di violazione di legge con riguardo alla fattispecie contestata e alla ritenuta penale responsabilità a carico del medesimo.
Occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento impugnato sono inammissibili; dietro la parvenza del vizio motivazionale, infatti, lo stesso tende ad ottenere in questa sede – con richiami meramente fattuali una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
Vero è, al riguardo, che la Corte territoriale ha puntualmente valutato e dichiarato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente. In tal senso è stata offerta coerente lettura dell’intera vicenda originata da un controllo effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla seguente perquisizione all’esito della quale il ricorrente veniva trovato in possesso della sostanza poi sequestrata. Quanto alla ritenuta responsabilità l’appellante, egli è stato rinvenuto fuori dalla propria abitazione e all’interno di un locale in possesso di una quantità che i giudici hanno ragionevolmente definito non bagatellare di sostanza stupefacente, peraltro già divisa in dosi e confezionata e quindi pronta alla vendita; con l’aggiunta della assenza di un’attività lavorativa lecita. Così delineando un quadro indiziario granitico rispetto al quale non si prospetta alcun vizio manifesto. E’ poi meramente asserita la tesi del mancato accertamento della assenza di fonte lavorativa di reddito, comunque marginale nella economia della argomentazione.
Non può quindi che dichiararsi la complessiva inammissibilità del ricorso.
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Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Cort costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono element ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa n determinazione della causa di inammissibilità», alla declarator dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023
Il Presidente