Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2330 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2023
sentenza
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Taurianova il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in data 16/1/2023 preso atto che il ricorrente è stato ammesso alla trattazione orale udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso udite le conclusioni degli AVV_NOTAIO ti AVV_NOTAIO e NOME COGNOME difensori di COGNOME NOME i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso; letta la memoria difensiva
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze con sentenza in data 16/1/2023, ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze in data 9/3/2022, che in esito al giudizio abbreviato, aveva condannato l’odierno ricorrente alla pena ritenuta di giustizia, per i delitti di usura ed estorsione aggravata a lui ascritti.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME formulando i motivi di ricorso che qui si riassumono, nei termini di cui all’art. 173
disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Nullità della sentenza impugnata ex art. 178 , lett. c) , cod. proc. pen., per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa ovvero carenza e manifesta contraddittorietà della motivazione. La Corte d’appello, come il primo giudice, non avrebbero preso in considerazioni gli argomenti difensivi riportati nella memoria depositata il 20/12/2012, in vista dell’udienza di discussione dell’abbreviato, con le quali si censurava la ricostruzione dei fatti operata dalla persona offesa NOME COGNOME, contrapponendo a questa la versione del COGNOME, circa l’insussistenza del rapporto usurario e della estorsione, tenuto conto di quanto emergeva dalle intercettazioni telefoniche.
La Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con tale censura limitandosi a rilevare come l’omessa valutazione della memoria de qua non rappresentasse un vulnus della sentenza di primo grado e che la tesi difensiva riproposta con l’atto di appello, circa l’insussistenza del rapporto usurario con COGNOME che a dire della difesa andava inquadrato come prestito per la realizzazione di un investimento comune, non potesse trovare seguito alla luce delle risultanze investigative e delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME credibili e riscontrate. Questa motivazione sarebbe, ad avviso della difesa, illogica e carente nella misura in cui ripropone apodittici ed assertivi argomenti trattati dalla sentenza di primo grado a fronte di argomenti difensivi con i quali si contestava che i pagamenti di COGNOME, a COGNOME, fossero dovuti alla corresponsione di interessi usurari.
3.2. Con il secondo motivo la difesa lamenta la carenza ed illogicità della motivazione. La Corte d’appello non avrebbe fornito adeguata risposta ai decisivi rilievi difensivi con i quali si contestava la sussistenza di interessi usurari post che la consegna della somma di euro 15.000,00 consegnata da COGNOME a COGNOME era dovuto al proposito di realizzare un investimento comune mentre COGNOME non restituendo il denaro, avrebbero realizzato una vera e propria truffa in danno del COGNOME. La Corte d’appello, sul punto, avrebbe erroneamente ritenuto provato l’interesse usurario ricavandolo dai problemi finanziari che aveva COGNOME, il quale sarebbe stato costretto a ricorrere a prestiti di natura usuraria omettendo di considerare che COGNOME non era a conoscenza di ciò essendo stato indotto da COGNOME a fornire il denaro per compiere l’investimento, chiedendo, dopo tre mesi, solo la restituzione del capitale. Dalle intercettazioni non emergerebbe il debito dovuto ad interessi ed anche la vicenda dall’acquisto dell’autovettura TARGA_VEICOLO da parte della figlia di NOME, poi trasferita in proprietà alla figlia del NOME, sare da ricondurre al prestito iniziale di euro 15.000,00.
3.3. Il terzo motivo contiene censure relative all’affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione atteso che le persone offese hanno escluso di avere ricevuto minacce dall’imputato.
3.4. Con il quarto motivo ci si duole della omessa motivazione in merito alla richiesta difensiva di derubricazione del delitto di estorsione in quello di esercizio arbitrario della proprie ragioni posto che il rapporto tra COGNOME e COGNOME era quello di un ordinario prestito (di euro 15.000,00) produttivo di interessi fino all’ammontare finale di euro 17.200,00, in due anni.
3.5. Il quinto motivo contiene censure relative alla ritenuta sussistenza del dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso che, a parere della difesa, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ricavato dalle dichiarazioni delle persone offese.
3.6. Con il sesto motivo si censura la motivazione per carenza ed illogicità in relazione al diniego delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti ed alla dosimetria della pena con particolare riferimento agli aumenti per la continuazione interna posto che ad avviso della difesa non vi sarebbero più estorsioni ma una sola condotta estorsiva.
3.7. Con il settimo motivo si articolano censure in merito alla disposta confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile perché basato su motivi che riproducono, anche materialmente, i motivi proposti con l’atto di appello sui quali la Corte di merito ha fornito corrette e puntuali risposte e su motivi in fatto con i quali si sollecita Corte ad una rilettura del materiale probatorio conformemente scrutinato da entrambi i giudici di merito.
Può osservarsi, infatti, preliminarmente e in via generale, come il ricorrente invochi in concreto, pur nell’alveo formale delineato dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., una radicale rilettura del materiale probatorio. Questa operazione, con ogni evidenza, comporta una valutazione strettamente di merito preclusa alla competenza di questa Corte. Invero, non sono deducibili con ricorso per cassazione censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che contestano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per
NOME–
giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, d spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv.280747; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, Rv. 280589).
Costituisce, in particolare, questione di merito l’apprezzamento delle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME. Il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322de1 14/04/2008, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Rv. 225232).
Analogamente, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni e del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate e non trascende i limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 de1626/02/2015, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv.282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389).
Quanto alle censure relative a lamentati vizi di motivazione, è opportuno osservare, ancora preliminarmente, come ai fini del controllo di legittimità – in particolare quando, come nel caso di specie per quanto attiene ai delitti di usura ed estorsione, i giudici di secondo grado abbiano confermato la condanna pronunciata in tribunale (cosiddetta “doppia conforme”) – la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, così da formare un unico complessivo corpo decisionale, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice, richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza e concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 2, n.37295 del 12/06/2019, Rv 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595).
D’altro canto, va ancora rimarcato che nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; debbono pertanto considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Rv 281935). In particolare si nota come l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dia luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ogni qualvolta, pur in mancanza di un’espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione, in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (in tal senso, ex pluribus, da ultimo, Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593, secondo cui la Corte territoriale deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante in ordine ai punti o capi investiti dal gravame, ma non è tenuta a indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello, quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione: in questo modo, quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte). D’altronde, la manifesta illogicità della motivazione presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr. Sez. 6, n. 2972 del 4/12/2020, Rv.280589). Ha analogamente affermato Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, Rv. 278237, che, in sede di legittimità, il ragionevole dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo deve fare riferimento ad elementi desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali, seppure plausibili. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. Con riguardo, quindi, al primo motivo rileva il collegio che contrariamente a quanto si assume nel ricorso, la Corte di appello ha preso in considerazione tutti gli argomenti difensivi, compresi quelli contenuti nella memoria asseritamente non considerata rispondendo compiutamente a tutte le censure volte a dimostrare l’insussistenza di un rapporto usurario COGNOME (che la difesa ritiene non provato perché dalle intercettazioni non emergerebbe la corresponsione di somme a titolo di interessi, assumendo che NOME sarebbe stato truffato da NOME avendogli consegnato 15.000,00 euro per la realizzazione di un investimento comune, senza che il debitore gli restituisse la somma).
La Corte di merito legittimamente valorizzando le dichiarazioni delle persone offese, in particolare di COGNOME NOME, la cui attendibilità è stata criticame vagliata oltre che oggettivamente riscontrata ( pagg. 30 e segg. della sentenza
impugnata) ha ritenuto provata la natura usuraria del prestito erogato da COGNOME a favore di NOME a gennaio 2016, prestito che ad agosto 2016 portò COGNOME ad esigere il pagamento degli interessi del 15% tanto che in pochi mesi il debito era lievitato a 27.000,00, sino ad arrivare ad un importo di 80.000,00 in due anni.
I giudici di merito hanno specificamente motivato sul fatto che nelle intercettazioni non si parlasse esplicitamente di interessi usurari, trattandosi di captazioni iniziate a fine 2017 quando la questione degli interessi usurari era già stata definita sicchè non vi era necessità che fosse ulteriormente ribadita.
Né la circostanza che gli accrediti sulla post pay del COGNOME apparissero non compatibili con gli interessi usurari è elemento che la Corte d’appello ha trascurato avendo invece evidenziato come sulla carta post pay gli accrediti avvenissero solo parzialmente e mai essi avrebbero potuto costituire prova del rapporto usurario fondato sulle dichiarazioni di NOME riscontrate dalla vicenda della vendita della autovettura T – Roc del valore di 30.000,00 che la figlia di NOME fu costretta ad acquistare accollandosi un finanziamento, per poi permutarla con una Audi Al del valore di 14.500,00 euro e che veniva intestata alla figlia di NOME, ricevendo 10.500,00 poi trasferiti al padre e da questi a COGNOME (cfr. pag. 36 della sentenza impugnata in cui si richiamano significativamente le intercettazioni telefoniche tra COGNOME e COGNOME NOME).
A fronte dell’illecito rapporto debitorio, non coglie nel segno neppure l’osservazione difensiva sulla carenza ed illogicità della motivazione relativa al delitto di estorsione ed alla mancata derubricazione del delitto di cui all’art. 629 cod. pen. nella fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen. Ha sottolineato la Corte d merito che le pressanti richieste di pagamento molto rapidamente divennero vere e proprie intimidazioni nei confronti di NOME, ma anche della figlia e del marito, tali da integrare il delitto di cui all’art. 629 cod. pen. (cfr. Sez. 38551del 26/04/2019, Rv. 277090-02, secondo cui usura ed estorsione possono concorrere quando la violenza o minaccia siano esercitate al fine di ottenere il pagamento degli interessi pattuiti o degli altri vantaggi usurari).
Anche le articolate censure contenute terzo e quarto motivo di ricorso, dunque, se si ha riguardo alla dettagliata motivazione di cui alle pag. 38 e 39, sono manifestamente infondate.
Parimenti manifestamente infondate le censure difensive riguardanti la mancanza della motivazione relativa all’utilizzo del metodo mafioso. La Corte toscana, rimarcando la gravità del fatto (ampiamente descritta) e la personalità del COGNOME ha bene messo in evidenza come lo stesso spendesse la sua caratura criminale ed il suo collegamento con la “la famiglia di giù”, caratteristica immediatamente percepita dalla p.o. COGNOME NOME la quale pur non avendo
subito pressioni direttamente da COGNOME , riferì che il padre le comunicò che se non avesse restituito i soldi sarebbe stato ucciso, si tratta di un’ipotesi tipica minaccia indiretta idonea ad integrare la fattispecie estorsiva aggravata dal metodo mafioso posto che la donna percepì di dover pagare i debiti che il padre aveva contratto con dei “camorristi di merda” ( pag. 41 ).
Anche con riferimento alla dosimetria della pena non si rilevano carenze o incongruità motivazionali e d’altra parte il ricorrente, dal canto suo, non evidenzia specifiche circostanze idonee a fondare la concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, avendo la Corte avuto riguardo, anche nella dosimetria della pena, alla condizione di pregiudicato del COGNOME oltre che alla gravità delle condotte (p. 42).
Quanto agli aumenti per la continuazione interna la Corte di merito ha dato applicazione al consolidato principio secondo il quale la pluralità di soggetti passivi destinatari delle minacce come nella specie la NOME e il di lei marito, consentissero di individuare più reato estorsivi suscettibili di dar luogo ad un concorso di reati avvinti dal vincolo della continuazione.
Da ultimo con riferimento alla confisca dei beni in sequestro la Corte di merito ha bene evidenziato che la infondatezza dei motivi di appello con cui si censurava la sussistenza dei reati, rendeva manifestamente infondati anche i motivi relativi al provvedimento di confisca che, come è noto, nel caso di condanna per il reato di usura comporta per legge la confisca del profitto del reato (la motivazione a pag. 44 appare, sul punto, congrua ed esaustiva).
Alla luce delle considerazioni che precedono deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/9/2023