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Ricorso inammissibile: quando è troppo generico

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per reati fiscali. Il ricorso inammissibile è stato ritenuto tale per l’eccessiva genericità dei motivi, che non criticavano specificamente la sentenza d’appello. La Corte ha confermato che la condanna si basava su prove concrete e non su mere presunzioni, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione sanziona la genericità

Quando si impugna una sentenza, specialmente in Cassazione, non è sufficiente lamentare un’ingiustizia. È fondamentale articolare critiche precise e pertinenti. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci ricorda le conseguenze di un ricorso inammissibile, sottolineando come la genericità delle censure porti non solo al rigetto, ma anche a sanzioni economiche. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere i requisiti di specificità richiesti dalla legge per un’efficace impugnazione.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, condannato in Corte d’Appello per reati fiscali previsti dall’art. 2 del d.lgs. 74/2000, decideva di presentare ricorso per cassazione. La sua difesa si basava su un unico motivo: la presunta carenza di motivazione e la violazione dell’art. 533 del codice di procedura penale, che sancisce il principio del “ragionevole dubbio”.

Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano approfondito a sufficienza le circostanze emerse durante le indagini e avevano fondato la loro decisione su presunzioni legali, senza raggiungere quella certezza probatoria necessaria per una condanna penale.

La Decisione della Corte su un ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto categoricamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che la doglianza presentata non rientrava in alcuna delle categorie previste dall’art. 606 del codice di procedura penale, che elenca i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione.

Il ricorso è stato giudicato “meramente enunciato”, “privo di specificità” e “del tutto sganciato da una critica alla motivazione della sentenza”. In pratica, l’imprenditore si era limitato a riproporre le stesse censure già sollevate in appello, senza confrontarsi in modo critico e puntuale con le argomentazioni logico-giuridiche che avevano portato alla sua condanna.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha chiarito che la sentenza della Corte d’Appello era, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, pienamente sufficiente e logicamente coerente. I giudici di merito non si erano basati su mere presunzioni, ma su una serie di elementi fattuali concreti e convergenti, quali:

* La totale assenza di contatti scritti o ordini nei confronti delle ditte che avevano emesso le fatture contestate.
* L’esecuzione dei pagamenti esclusivamente in contanti.
* La comprovata mancanza di operatività e di dipendenti delle suddette ditte emittenti.
* Una significativa discrepanza tra le cifre indicate e le prestazioni che avrebbero dovuto essere fornite.
* La ripetizione dello stesso numero di fattura in più occasioni.

Questi elementi, complessivamente considerati, avevano portato i giudici a superare ampiamente il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato. Il ricorso, non affrontando specificamente questi punti, si è rivelato un esercizio sterile, incapace di scalfire la solidità della motivazione della sentenza impugnata.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche significative per il ricorrente. In applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, e richiamando una sentenza della Corte Costituzionale (n. 86/2000), la Cassazione ha stabilito che, in assenza di prove che l’inammissibilità fosse dovuta a una causa non imputabile al ricorrente, quest’ultimo dovesse essere condannato.

Di conseguenza, l’imprenditore è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un controllo di legittimità che richiede precisione, specificità e un confronto critico con la decisione impugnata.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché era meramente enunciato, privo di specificità e completamente sganciato da una critica puntuale alla motivazione della sentenza impugnata, non rientrando nei casi previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.

Quali elementi concreti hanno fondato la condanna secondo i giudici?
La condanna si basava su prove concrete e non su presunzioni, tra cui: la mancanza di contatti scritti con le ditte emittenti, i pagamenti in contanti, la mancanza di operatività e di dipendenti di tali ditte, la discrepanza delle cifre e la ripetizione dello stesso numero di fattura.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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