Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20047 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20047 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Croazia il 10/04/1962
avverso la sentenza del 28/11/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1bis , cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 28/11/2024 la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Mantova il 12/09/2023, che aveva condannato NOME COGNOME per il reato di ricettazione.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 648 cod. pen., 62 e 63 cod. proc. pen. Rileva, sotto un primo profilo, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato di ricettazione, avendo fondato la responsabilità dell’imputato sulla mera circostanza del possesso dei documenti falsi, senza considerare gli elementi offerti dalla difesa, che escludevano la sua consapevolezza della provenienza illecita, tenuto conto che la giacca all’interno della quale i documenti furono rinvenuto non era indossata dal ricorrente e che i documenti non recavano le sue generalità.
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 8110/2025
Motivazione Semplificata
Osserva, sotto un secondo profilo, che sono state utilizzate dichiarazioni rese in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., atteso che il COGNOME avrebbe dovuto essere escusso in qualità di persona sottoposta alle indagini, in quanto dal controllo della documentazione rinvenuta erano emersi elementi indiziari a suo carico; che, invero, nel caso di specie, si tratta di dichiarazioni acquisite nel corso di un controllo di polizia e non spontaneamente al di fuori di ogni contesto procedimentale; che, dunque, tali dichiarazioni sono inutilizzabili, in quanto rese alla polizia giudiziaria prima dell’inizio formale delle indagini, con la conseguenza che deve trovare applicazione il divieto di testimonianza indiretta di cui all’art. 195, comma 4, cod. proc. pen.; che, in assenza di tale dichiarazione, non residuano elementi a carico del ricorrente in ordine al possesso dei documenti.
Evidenzia, sotto un terzo profilo, che la Corte di merito ha fondato la decisione su un quadro probatorio lacunoso, basandosi sulle dichiarazioni rese in sede di controllo, senza operare una valutazione complessiva degli elementi di prova richiesta dall’art. 192 cod. proc. pen.; che, in particolare, non Ł stata fornita adeguata motivazione circa l’attribuzione della giacca contenente i documenti all’imputato, tenuto conto che era all’interno dell’autovettura, che non era di sua proprietà.
Si duole, sotto un quarto profilo, del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dell’incensuratezza del ricorrente e della modesta gravità del fatto.
Ritiene, sotto diverso profilo, che i giudici di appello abbiano valorizzato elementi probatori acquisiti in violazione delle garanzie difensive, segnatamente le dichiarazioni autoindizianti rese in sede di controllo di polizia.
Evidenzia, sotto un ultimo profilo, che la Corte di appello ha operato una inammissibile inversione dell’onere della prova, richiedendo all’imputato di dimostrare la non riconducibilità a sØ della giacca contenente i documenti, anzichØ fondare l’affermazione di responsabilità su prove certe ed inequivoche della sua colpevolezza; che un siffatto approccio si pone in aperto contrasto con il principio della presunzione di innocenza.
3. Il ricorso Ł inammissibile per essere aspecifico il motivo cui Ł affidato.
Ed invero non tiene conto del percorso logico argomentativo seguito dalla Corte territoriale, che dà ampiamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto la responsabilità del ricorrente per la ricettazione dei documenti rinvenuti nella sua giacca; senza tacere che reitera le medesime doglianze avanzate nei motivi di appello, ritenute infondate con motivazione completa ed esaustiva dai giudici di secondo grado.
Peraltro, la sentenza impugnata costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Tanto premesso, osserva il Collegio che le doglianze non si confrontano con la motivazione del provvedimento nella parte in cui ha specificato che le dichiarazioni del COGNOME furono rese prima ancora che emergessero a carico del ricorrente indizi di reità in ordine alla ricettazione dei documenti contenuti nella giacca di cui si era assunto la disponibilità, per cui correttamente sono state ritenute utilizzabili ed altrettanto correttamente Ł stato ritenuto non operante il divieto di testimonianza indiretta di cui all’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. Orbene, venendo meno il presupposto della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dal COGNOME, che
costituiscono la premessa su cui sono articolati gli ulteriori profili di doglianza, questi ultimi devono analogamente essere dichiarati manifestamente infondati.
Quanto, infine, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha evidenziato come il motivo di appello sul punto fosse generico, non indicando nessun elemento che avrebbe potuto fondare l’applicazione delle circostanze di cui all’art. 62bis cod. pen. e come non emergessero dagli atti elementi di segno positivo per il loro riconoscimento. In proposito, osserva il Collegio che il mero stato di incensuratezza non rileva, ostandovi la previsione di cui all’art. all’art. 62bis , comma terzo, cod. pen. (introdotta dall’art. 1, lett. fbis , della legge n. 125 del 2008), per la quale l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere per ciò solo, posta a fondamento della applicazione delle attenuanti generiche, occorrendo ulteriori elementi di segno positivo, nella specie evidentemente ritenuti assenti dai giudici di appello.
In conclusione, rispetto alla trama motivazionale del provvedimento impugnato, che si sviluppa in maniera piana, esaustiva e convincente, il ricorso glissa, reiterando pedissequamente le stesse doglianze già avanzate con i motivi di appello, senza argomentare criticamente in ordine ad eventuali illogicità del percorso argomentativo seguito nel provvedimento impugnato.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849).
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME