Ricorso inammissibile per genericità: la Cassazione fa chiarezza
Quando si presenta un ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, è fondamentale che le censure mosse alla sentenza precedente siano specifiche e puntuali. Un’ordinanza recente ha ribadito questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile perché i motivi erano generici e miravano a una semplice rivalutazione dei fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità. Questo caso offre spunti importanti sul concorso di persone nel reato di spaccio e sul mancato riconoscimento delle attenuanti.
I fatti del caso: il ricorso alla Corte di Cassazione
Una donna, condannata in secondo grado dalla Corte d’Appello per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990), ha presentato ricorso per cassazione. I motivi del ricorso erano tre:
1. Violazione di legge e vizi di motivazione riguardo al suo effettivo contributo causale e psicologico al reato commesso insieme al compagno.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione, prevista dall’art. 114 del codice penale.
3. Vizi di motivazione per la mancata concessione delle attenuanti generiche e per l’assenza di una riduzione della pena.
In sostanza, la difesa sosteneva che il ruolo della donna fosse stato marginale e che la Corte d’Appello avesse errato nel non concederle i relativi benefici di legge.
L’analisi del ricorso inammissibile da parte della Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, qualificando l’intero ricorso come inammissibile. La ragione principale è che l’atto non si confrontava in modo critico e specifico con le argomentazioni della sentenza impugnata, ma si limitava a sollecitare una rilettura dei fatti, preclusa in sede di legittimità.
Primo motivo: il concorso nel reato
La Corte ha giudicato il primo motivo inammissibile in quanto riproponeva censure già esaminate e respinte correttamente dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva evidenziato come l’imputata non si fosse limitata a un contributo minimo, ma avesse agito attivamente per “agevolare e rafforzare il proposito criminoso del compagno attraverso il tentativo di nascondere la droga”. Un comportamento attivo che va oltre la semplice connivenza.
Secondo motivo: l’attenuante della minima partecipazione
Di conseguenza, anche il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile. Se il contributo non è minimo ma attivo e funzionale al reato, non possono sussistere i presupposti per l’applicazione dell’attenuante della minima partecipazione. L’apporto della donna, secondo i giudici, non è stato di “lieve entità” nell’economia generale dell’illecito.
Terzo motivo: le attenuanti generiche
Infine, la Cassazione ha ritenuto inammissibile anche il terzo motivo. La Corte d’Appello aveva fornito un’ampia motivazione sul punto, spiegando che non era emerso alcun elemento positivo a favore dell’imputata che potesse giustificare la concessione delle attenuanti generiche. Senza elementi concreti, il giudice non è tenuto a concedere tale beneficio.
Le motivazioni della decisione della Suprema Corte
La motivazione centrale della decisione risiede nella natura stessa del giudizio di cassazione. La Suprema Corte non è un “terzo grado” di merito, ma un giudice della legge. Non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti. Un ricorso è ammissibile solo se denuncia specifici errori di diritto o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata.
Nel caso di specie, il ricorso è stato considerato generico perché non ha individuato precise violazioni di legge, ma ha tentato di ottenere una nuova e più favorevole interpretazione del quadro probatorio. Questo approccio rende il ricorso inammissibile per definizione.
Le conclusioni: implicazioni pratiche
Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: per avere successo in Cassazione, è indispensabile formulare censure specifiche, tecniche e giuridicamente fondate. La semplice riproposizione dei motivi d’appello o la richiesta di una diversa valutazione dei fatti porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Tale esito comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali e il pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000,00 euro.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato generico e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico, e quindi inammissibile, quando non si confronta in modo puntuale e critico con le argomentazioni della sentenza impugnata, ma si limita a sollecitare una rivalutazione dei fatti o a riproporre le stesse censure già disattese nei gradi precedenti senza una specifica critica giuridica.
Perché non è stata riconosciuta l’attenuante della minima partecipazione all’imputata?
L’attenuante non è stata riconosciuta perché, secondo la Corte, il suo contributo non era di lieve entità. L’imputata aveva agito attivamente per agevolare e rafforzare il piano criminale del compagno, tentando di nascondere la droga, un comportamento che va oltre una partecipazione marginale.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la conferma della decisione impugnata e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il giudice condanna il ricorrente al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte senza valide ragioni.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12467 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12467 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 11/04/1974
avverso la sentenza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME – condannata per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: 1) violazione degli artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e vizi della motivazione in riferimento all’individuazione del rapporto causale, dell’elemento volitivo e di quello psicologico dell’imputata; 2) violazione dell’art. 114 cod. pen. e vizi della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione; 3) vizi della motivazione in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata mitigazione della pena.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché generico e diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa al sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici di merito e non toccati da specifica critica (pag. 3 del provvedimento), dal momento che la Corte evidenzia come l’imputata non si sia limitata a fornire un contributo di minima importanza alla condotta illecita, ma abbia agito attivamente al fine di agevolare e rafforzare il proposito criminoso del compagno attraverso il tentativo di nascondere la droga;
che il secondo motivo è inammissibile, in quanto – come delineato dalla Corte con le considerazioni appena richiamate – l’apporto della COGNOME non risulta essere di lieve entità nell’ambito della relazione di causalità nell’economia generale dell’illecito commesso, non potendo pertanto trovare accoglimento il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.;
che il terzo motivo di ricorso è inammissibile, dal momento che la Corte offre ampia motivazione (pag. 3 del provvedimento impugnato) ed evidenzia non sia emerso alcun elemento positivo valutabile a favore dell’imputata per poterle riconoscere tale beneficio;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 200, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.