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Ricorso inammissibile: quando è troppo generico

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una condanna per ricettazione. La decisione si fonda sulla mancanza di specificità dei motivi, che si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello e a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e il Limite alla Rivalutazione dei Fatti

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile venga trattato dalla Corte di Cassazione. Quando un’impugnazione non rispetta i rigidi requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge, la Suprema Corte non entra nemmeno nel merito della questione, ma la respinge con una declaratoria di inammissibilità. Questo caso, relativo a un’accusa di ricettazione, sottolinea il principio fondamentale secondo cui la Cassazione è giudice di legittimità, non un terzo grado di merito.

Il Caso in Esame: Un Appello contro la Ricettazione

La vicenda processuale ha origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano, che aveva confermato una condanna per il reato di ricettazione. L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, contestando principalmente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza della provenienza illecita del bene.

L’obiettivo del ricorrente era quello di ottenere una riconsiderazione della propria posizione, sostenendo che la sua intenzione non fosse quella richiesta dalla norma penale per configurare il delitto di ricettazione. Tuttavia, le modalità con cui ha presentato le sue ragioni si sono scontrate con le ferree regole del giudizio di legittimità.

La Specificità come Requisito per un ricorso non inammissibile

Il Codice di procedura penale, all’articolo 581, stabilisce che i motivi di impugnazione devono essere specifici. Questo non è un mero formalismo. La specificità impone al ricorrente di non limitarsi a una generica lamentela, ma di instaurare un dialogo critico e puntuale con la motivazione della sentenza impugnata. È necessario indicare con precisione quali parti della decisione si contestano e per quali ragioni giuridiche si ritengono errate.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che il motivo di ricorso era viziato da una duplice mancanza di specificità:
1. Genericità: Le argomentazioni erano indeterminate e non chiarivano in modo netto il vizio di legge della sentenza d’appello.
2. Mancanza di Correlazione: L’atto di ricorso ignorava le precise e articolate risposte che il giudice d’appello aveva già fornito alle medesime questioni, riproponendole in modo identico.

Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti

Il punto centrale della decisione della Cassazione è il ribadire il proprio ruolo. La Suprema Corte non è un “terzo giudice” che può riesaminare le prove (documenti, testimonianze, etc.) per formarsi un nuovo convincimento sui fatti. Questo compito spetta esclusivamente ai giudici del merito, ovvero il Tribunale e la Corte d’Appello.

Il ricorso presentato tendeva proprio a questo: a sollecitare una “rivalutazione delle fonti probatorie” e a proporre una “ricostruzione alternativa dei fatti”. Questo tipo di richiesta è estranea al giudizio di cassazione e conduce inevitabilmente a una pronuncia di ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha basato la sua decisione su argomentazioni logico-giuridiche chiare e consolidate. I giudici hanno sottolineato che le doglianze difensive erano state ampiamente vagliate e motivatamente disattese nei precedenti gradi di giudizio. Il ricorso si era limitato a una “mera riproduzione” delle argomentazioni già presentate in appello, senza confrontarsi con la logica della decisione impugnata.

Citando precedenti giurisprudenziali conformi, la Corte ha concluso che un ricorso così strutturato non supera il vaglio di ammissibilità. La mancanza di specificità e il tentativo di ottenere un riesame nel merito costituiscono vizi insanabili che impediscono alla Corte di procedere all’esame della questione.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione

La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta due conseguenze significative per il ricorrente. In primo luogo, la sentenza di condanna della Corte d’Appello diventa definitiva. In secondo luogo, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge. Questa decisione serve da monito sull’importanza di redigere atti di impugnazione rigorosi, pertinenti e rispettosi dei limiti funzionali di ciascun grado di giurisdizione.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando manca dei requisiti previsti dalla legge. Nel caso specifico, è stato ritenuto tale per la genericità dei motivi e per la mancanza di correlazione tra le argomentazioni del ricorrente e la motivazione della sentenza impugnata, contravvenendo all’art. 581 del codice di procedura penale.

Cosa significa che la Corte di Cassazione non può rivalutare i fatti?
Significa che il suo compito non è quello di riesaminare le prove (come testimonianze o documenti) per decidere se l’imputato è colpevole o innocente. La Corte controlla solo che i giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello) abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. Inoltre, la sentenza contro cui si è fatto ricorso diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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