Ricorso Inammissibile: la Cassazione Spiega i Limiti dell’Impugnazione
Presentare un ricorso in Cassazione richiede requisiti precisi e non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito i principi che rendono un ricorso inammissibile, specialmente quando i motivi si limitano a ripetere argomenti già respinti o a proporre una diversa lettura delle prove. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i confini del giudizio di legittimità.
I Fatti di Causa
Il caso nasce da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello che confermava una condanna per il reato di rapina (art. 628 c.p.). La ricorrente sosteneva, attraverso tre distinti motivi, l’illegittimità della condanna. In primo luogo, lamentava un difetto di motivazione sulla sua effettiva responsabilità. In secondo luogo, contestava la logicità della valutazione delle prove, in particolare di una testimonianza. Infine, chiedeva una diversa qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che si trattasse di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) per recuperare un presunto credito, e non di rapina.
La Decisione della Corte di Cassazione e il ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno ritenuto che nessuno dei tre motivi presentati superasse il vaglio di ammissibilità previsto dalla legge. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento: la Cassazione è giudice della legittimità, non del merito. Ciò significa che non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.
Le Motivazioni: Analisi della dichiarazione di inammissibilità
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della ricorrente, evidenziando le ragioni per cui ciascun motivo era inammissibile.
1. Primo Motivo: Genericità e Reiterazione. Il primo motivo, relativo al difetto di motivazione, è stato considerato una semplice riproposizione delle argomentazioni già presentate e respinte in appello. La Corte ha sottolineato che un ricorso in Cassazione, per essere specifico, deve contenere una critica argomentata e puntuale delle ragioni della sentenza impugnata, non limitarsi a ripetere le stesse difese. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano ampiamente motivato (pagg. 6-8 della sentenza) sulla piena consapevolezza della ricorrente circa i metodi intimidatori usati dal complice, rendendo la doglianza generica e apparente.
2. Secondo Motivo: Divieto di Rivalutazione delle Prove. Il secondo motivo, che criticava la valutazione di una testimonianza, si scontrava con il divieto per la Cassazione di riesaminare le prove. La Suprema Corte non può ‘saggiare la tenuta logica’ di una sentenza confrontandola con interpretazioni alternative delle prove. Il suo compito è solo verificare che la motivazione adottata dal giudice di merito sia esente da vizi logici manifesti. Poiché la Corte d’Appello aveva spiegato in modo coerente il proprio convincimento, ogni tentativo di proporre una lettura diversa delle risultanze processuali era precluso.
3. Terzo Motivo: Errata Qualificazione Giuridica e il ricorso inammissibile. Anche il terzo motivo è stato giudicato inammissibile. La richiesta di qualificare il reato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.) era già stata vagliata e disattesa in appello. I giudici di merito avevano correttamente escluso l’esistenza di un ‘legittimo credito’ in capo alla ricorrente, la quale, peraltro, era stata dichiarata fallita e quindi non aveva titolo per riscuotere alcunché. La reiterazione di tale argomento, senza una critica specifica alle motivazioni della Corte d’Appello, ha portato alla sua inammissibilità.
Le Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre una lezione fondamentale sulla tecnica di redazione dei ricorsi per cassazione. Un’impugnazione ha successo solo se si concentra sui vizi di legittimità della decisione (violazione di legge o vizi logici della motivazione) e non se tenta di ottenere una nuova valutazione dei fatti. Ripetere argomenti già respinti senza un confronto critico con le ragioni del giudice d’appello porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. Per i professionisti del diritto, ciò ribadisce l’importanza di strutturare il ricorso come una critica mirata e specifica, non come un’ulteriore arringa difensiva sul merito della vicenda.
Quando un motivo di ricorso in Cassazione viene considerato generico e quindi inammissibile?
Un motivo di ricorso è considerato generico quando si limita a reiterare argomenti già dedotti e respinti nei gradi di merito, senza confrontarsi criticamente e specificamente con le ragioni esposte nella sentenza che si sta impugnando. Manca, in sostanza, una critica concreta alla decisione.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come la testimonianza di una persona?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove né sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito è limitato a verificare la correttezza logica e giuridica del ragionamento seguito nella sentenza impugnata, senza entrare nel merito dei fatti.
Perché la richiesta di derubricare il reato da rapina a esercizio arbitrario delle proprie ragioni è stata respinta come inammissibile?
È stata respinta perché la Corte d’Appello aveva già escluso con motivazioni logiche e giuridicamente corrette i presupposti di tale reato. In particolare, aveva accertato che non esisteva un credito legittimo in capo alla ricorrente e che, essendo fallita, non era comunque legittimata a riscuoterlo. Il motivo di ricorso era una semplice ripetizione di una tesi già motivatamente disattesa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10617 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10617 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VALENZA il 17/11/1958
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce il difetto di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 628 cod. pen., non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si vedano le pagg. 6-8 della sentenza impugnata ove il giudice di appello, con congrui e non illogici argomenti pienamente aderenti alle risultanze processuali, afferma la totale consapevolezza in capo all’odierna ricorrente dell’utilizzo di metodi intimidatori da parte dello COGNOME);
considerato che il secondo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando la illogicità della motivazione sulla base di una diversa lettura dei dati processuali con particolare riferimento alla deposizione resa dal teste COGNOME – non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, le pagg. 6-8) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
osservato che il terzo motivo di ricorso, che lamenta l’erronea qualificazione giuridica del fatto, dovendosi, invece, ritenere configurato il reato di cui all’art. 393 cod. pen. attesa l’esistenza di un credito in capo all’odierna ricorrente, non è consentito poiché reiterativo di doglianze adeguatamente vagliate e disattese dal giudice di appello il quale, con corretti argomenti logici e giuridici, alle pagg. 8-9 della sentenza oggetto di ricorso, ha correttamente escluso la configurabilità di un legittimo credito direttamente in capo alla COGNOME che peraltro la stessa non era legittimata a riscuotere in quanto fallita;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.