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Ricorso inammissibile: quando è solo una ripetizione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso avverso una condanna per furto. La decisione si fonda sulla natura dei motivi presentati, ritenuti una mera riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte in appello. L’ordinanza sottolinea che il ricorso per cassazione non può limitarsi a contestare i fatti o a ripetere doglianze generiche, pena la dichiarazione di ricorso inammissibile e la condanna a spese e sanzioni.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti del giudizio di legittimità

Quando si presenta un ricorso alla Corte di Cassazione, è fondamentale comprendere la natura e i limiti di questo ultimo grado di giudizio. Non si tratta di un terzo processo nel merito, ma di un controllo sulla corretta applicazione della legge. Una recente ordinanza della Suprema Corte ribadisce un principio cardine: un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile quando i motivi sono una semplice ripetizione di argomentazioni già respinte in appello. Analizziamo insieme questa decisione per capire perché.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna per il reato di furto aggravato (artt. 624 e 625 n. 7 c.p.) emessa nei confronti di un’imputata. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di Appello di Ancona. Non rassegnata, l’imputata decideva di proporre ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi principali: la contestazione della sua responsabilità penale, un presunto vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e, infine, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

L’Analisi della Corte e il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto il ricorso dichiarandolo integralmente inammissibile. La decisione si articola sull’analisi di ciascun motivo, evidenziando difetti procedurali che ne precludevano l’esame nel merito.

Per quanto riguarda il primo motivo, con cui si contestava la colpevolezza, i Giudici hanno sottolineato come si trattasse di “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, la ricorrente non lamentava un errore nell’applicazione della legge, ma tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Inoltre, il motivo era una “pedissequa reiterazione” di quanto già sostenuto e puntualmente respinto dalla Corte di Appello.

Anche il secondo e il terzo motivo, relativi all’elemento psicologico del reato e alla particolare tenuità del fatto, sono stati giudicati “generici”. La Corte ha osservato che la ricorrente si era limitata a riproporre le stesse identiche ragioni già discusse e ritenute infondate nel precedente grado di giudizio, senza un confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio rende il ricorso inammissibile perché non individua uno specifico errore di diritto commesso dal giudice d’appello.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati della procedura penale. Il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito. Il suo scopo è garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle norme processuali, non riesaminare le prove o la ricostruzione dei fatti, compiti che spettano ai giudici di primo e secondo grado.

Quando un motivo di ricorso si limita a riproporre questioni di fatto o a copiare e incollare le argomentazioni dell’atto di appello, senza criticare specificamente le ragioni per cui la Corte d’Appello le ha disattese, esso perde la sua funzione. Diventa un tentativo sterile di ottenere una nuova valutazione, violando il principio di autosufficienza del ricorso e la natura stessa del giudizio di legittimità. La genericità, in questo contesto, equivale a una mancanza di critica specifica e pertinente alla decisione che si intende impugnare, rendendo l’esame impossibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Le conseguenze per la ricorrente non sono neutre: oltre alla definitività della condanna, è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: il ricorso in Cassazione deve essere uno strumento tecnico, mirato a censurare vizi di legittimità specifici della sentenza impugnata. Una strategia difensiva basata sulla mera riproposizione di argomenti già vagliati e respinti non solo è inefficace, ma comporta anche un aggravio di costi per il ricorrente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano o contestazioni sulla ricostruzione dei fatti (non consentite in Cassazione) o una ripetizione generica di argomentazioni già discusse e respinte dalla Corte d’Appello, senza una critica specifica alla sentenza impugnata.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’?
Significa che l’argomentazione è vaga e non si confronta puntualmente con le ragioni esposte nella sentenza che si sta impugnando. In questo caso, consisteva nel riproporre le stesse tesi del processo d’appello senza spiegare perché la decisione del giudice precedente fosse errata in diritto.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La persona che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questa vicenda è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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