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Ricorso inammissibile: quando è solo un fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una condanna per falsa testimonianza. La Corte ha stabilito che i motivi dell’appello erano semplici lamentele sui fatti, già valutate e respinte correttamente dai giudici precedenti, e non questioni di diritto. La decisione sottolinea che non è possibile rimettere in discussione l’accertamento dei fatti in sede di legittimità.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Falsa Testimonianza: la Decisione della Cassazione

Quando un imputato viene condannato, ha il diritto di impugnare la sentenza. Tuttavia, l’accesso alla Corte di Cassazione non è illimitato. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito i confini del proprio giudizio, dichiarando un ricorso inammissibile perché basato su contestazioni di fatto e non di diritto. Analizziamo questa decisione per capire i limiti del ricorso in Cassazione.

I fatti del caso: la condanna per falsa testimonianza

Il caso nasce da una condanna per il reato di falsa testimonianza, previsto dall’articolo 372 del codice penale. Una donna era stata giudicata colpevole sia in primo grado che in appello presso la Corte di Appello di Genova. Secondo i giudici di merito, l’imputata aveva deliberatamente fornito dichiarazioni non veritiere durante una testimonianza.

Contro la sentenza di secondo grado, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, tentando di ribaltare il verdetto di colpevolezza.

Le ragioni del ricorso inammissibile in Cassazione

Il ricorso presentato dall’imputata si fondava essenzialmente su due punti, entrambi ritenuti non validi dalla Suprema Corte.

Le doglianze “in punto di fatto”

Il motivo principale del ricorso era una critica alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. La difesa sosteneva che la memoria della testimone potesse essere stata “annebbiata” dal tempo trascorso, mettendo in discussione l’elemento psicologico del reato, ovvero l’intenzione di mentire.

La Corte di Cassazione ha però sottolineato che il suo ruolo non è quello di un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti. Il compito della Cassazione, quale giudice di legittimità, è verificare la corretta applicazione della legge, non stabilire se i fatti si siano svolti in un modo o in un altro. Poiché i motivi del ricorso erano semplici “doglianze in punto di fatto”, sono stati ritenuti non consentiti.

La mancata applicazione della causa di non punibilità

Un secondo motivo di ricorso riguardava la mancata applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, che prevede la non punibilità per particolare tenuità del fatto. Anche questo motivo è stato giudicato generico e, soprattutto, tardivo. La difesa, infatti, non aveva mai formulato tale richiesta nel corso del giudizio d’appello.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6093/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Le motivazioni della decisione sono chiare e si basano su principi consolidati della procedura penale.

In primo luogo, la Corte ha rilevato che i motivi del ricorso erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano già compiutamente ricostruito l’elemento psicologico del reato, escludendo che un semplice “annebbiamento” della memoria potesse giustificare la falsa testimonianza. Tentare di rimettere in discussione questa valutazione fattuale in Cassazione è un’operazione non permessa dalla legge.

In secondo luogo, il motivo relativo all’art. 131-bis c.p. è stato giudicato inammissibile per genericità e novità. Non si può chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione di una causa di non punibilità che non è stata oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio.

Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un importante promemoria sui limiti del ricorso per Cassazione. Non è una sede per rimettere in discussione le prove o la ricostruzione dei fatti, compiti che spettano esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. Un ricorso, per essere ammissibile, deve sollevare questioni di legittimità, ovvero errori nell’interpretazione o nell’applicazione delle norme giuridiche. In caso contrario, come in questa vicenda, il risultato è una declaratoria di inammissibilità con l’ulteriore condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati non erano questioni di diritto (errori nell’applicazione della legge), ma semplici contestazioni sulla ricostruzione dei fatti, che non possono essere riesaminate in sede di Cassazione.

Cosa significa che i motivi del ricorso sono ‘mere doglianze in punto di fatto’?
Significa che il ricorrente non stava contestando un errore giuridico commesso dai giudici precedenti, ma stava tentando di offrire una diversa interpretazione delle prove e dei fatti del processo, un’attività che è preclusa nel giudizio di legittimità.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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