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Ricorso inammissibile: quando è solo questione di fatto

La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile presentato da due imputati contro una condanna per resistenza. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso si limitavano a riproporre questioni di fatto già valutate dalla Corte d’Appello, criticando genericamente le decisioni del giudice di merito, senza sollevare reali vizi di legittimità. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per chiarire un concetto fondamentale del processo penale: la differenza tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La vicenda in esame si conclude con una dichiarazione di ricorso inammissibile, una decisione che sottolinea come non sia possibile utilizzare l’ultimo grado di giudizio per ridiscutere i fatti, ma solo per contestare l’applicazione della legge. Analizziamo insieme i dettagli di questa ordinanza per comprendere le ragioni dietro questa pronuncia.

I Fatti del Processo

Due soggetti, a seguito di una condanna emessa dalla Corte d’Appello, decidevano di presentare ricorso per Cassazione. La loro difesa si articolava su diversi punti, che miravano a smontare la decisione dei giudici di merito contestando sia l’elemento psicologico del reato di resistenza a pubblico ufficiale, sia la presenza di un’aggravante, oltre a richiedere il riconoscimento di circostanze a loro favore.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

I ricorrenti hanno basato la loro impugnazione su cinque motivi principali. Tuttavia, la Suprema Corte li ha ritenuti tutti, per ragioni diverse, non meritevoli di accoglimento, giungendo a una declaratoria di inammissibilità. Vediamo perché.

Il ricorso inammissibile e la riproposizione dei fatti

I primi due motivi di ricorso riguardavano l’elemento psicologico del reato di resistenza (art. 337 c.p.) e un’aggravante (art. 61 n. 2 c.p.). I ricorrenti sostenevano di aver opposto una mera resistenza passiva e di non essere consapevoli di trovarsi di fronte a personale di polizia giudiziaria. La Cassazione ha liquidato queste doglianze come una semplice ‘reiterata deduzione in fatto’. In altre parole, la difesa stava chiedendo alla Suprema Corte di rivalutare le prove e la ricostruzione degli eventi, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado (i cosiddetti giudici di merito). La Cassazione, in qualità di giudice di legittimità, non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella già motivata nella sentenza impugnata.

Questioni non dedotte in appello e discrezionalità del giudice

Il terzo motivo, relativo all’esclusione della recidiva per uno degli imputati, è stato respinto perché la questione non era stata sollevata specificamente nel precedente atto d’appello. Questo principio processuale impedisce di introdurre per la prima volta in Cassazione argomenti che dovevano essere discussi nei gradi precedenti.

Anche il quarto e il quinto motivo, inerenti al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sono stati rigettati. La Corte ha chiarito che queste decisioni rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione può censurare tale potere solo se la motivazione è palesemente illogica o assente, ma non se è semplicemente una valutazione con cui la difesa non concorda. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una giustificazione corretta e logica per le sue scelte.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: il suo ruolo non è quello di un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. La sua funzione è quella di garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle norme processuali. I motivi di ricorso, pertanto, devono evidenziare specifici errori di diritto (violazione di legge o vizio di motivazione) e non possono limitarsi a una generica riproposizione delle tesi difensive già respinte, né a una critica sulla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito. La decisione sottolinea come ogni tentativo di trasformare il giudizio di legittimità in un’ulteriore istanza di merito sia destinato al fallimento.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante: per adire la Corte di Cassazione è indispensabile formulare censure precise e pertinenti, focalizzate su questioni di diritto. Un ricorso basato sulla speranza di una nuova e diversa valutazione dei fatti non solo non ha possibilità di successo, ma comporta anche conseguenze economiche negative. La declaratoria di inammissibilità, infatti, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, rendendo la sentenza di condanna definitiva.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili?
La Corte ha ritenuto i ricorsi inammissibili perché i motivi presentati erano essenzialmente una riproposizione di questioni di fatto già decise dalla Corte d’Appello, una critica generica ai poteri discrezionali del giudice di merito o sollevavano questioni non specificamente dedotte nel precedente grado di giudizio.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare come sono andati i fatti?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, il che significa che il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può riesaminare le prove o ricostruire diversamente i fatti del processo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, la legge prevede che il ricorrente sia condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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