Ricorso Inammissibile: La Cassazione non è un Terzo Grado di Giudizio
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i limiti del giudizio di legittimità, sottolineando come non possa trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti. Quando un’impugnazione si limita a proporre una diversa interpretazione delle prove, il risultato è quasi sempre un ricorso inammissibile, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. Analizziamo questa ordinanza per comprendere meglio la distinzione tra un vizio di legge e una mera contestazione di fatto.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Milano per diversi reati. Le accuse includevano la detenzione di sostanze stupefacenti (ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990), il porto illegale di armi e la resistenza a pubblico ufficiale. Nello specifico, durante l’arresto, l’imputato aveva opposto una resistenza attiva, colpendo gli agenti con calci e pugni e causando loro lesioni.
Inoltre, contestualmente al ritrovamento della droga, erano state rinvenute diverse armi: una pistola priva di matricola (qualificata come arma clandestina), una roncola e un coltello con una lama di 9,5 cm.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Una diversa interpretazione della resistenza, sostenendo che si fosse trattato di una mera resistenza passiva e non di un’aggressione attiva.
2. La contestazione del collegamento tra la sua persona e le armi ritrovate.
La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno ritenuto che entrambi i motivi sollevati dal ricorrente non rientrassero tra quelli previsti dall’articolo 606 del codice di procedura penale, che elenca i vizi per i quali è possibile ricorrere in Cassazione.
Invece di denunciare una violazione di legge o un vizio logico nella motivazione della sentenza d’appello, il ricorrente ha tentato di sovrapporre la propria interpretazione dei fatti a quella, già ampiamente motivata, dei giudici di merito. Questo approccio è stato ritenuto inaccettabile in sede di legittimità.
Analisi dei motivi del ricorso inammissibile
Il primo motivo, relativo alla resistenza, è stato giudicato una semplice ‘doglianza in punto di fatto’. La Corte di Appello aveva chiaramente evidenziato, sulla base delle prove, che l’imputato aveva colpito gli operanti, cagionando loro traumi e contusioni. Il ricorso non ha contestato la logicità di questa ricostruzione, ma ha solo proposto una tesi alternativa, senza fondamento giuridico.
Anche il secondo motivo, riguardante le armi, è stato respinto. La Corte d’Appello aveva motivato in modo puntuale e adeguato le ragioni per cui le armi (pistola, roncola e coltello), rinvenute insieme al denaro e al materiale per il confezionamento della droga, erano riconducibili all’imputato. La Cassazione non ha ravvisato alcun ‘vizio logico argomentativo’ in questa conclusione, confermando la solidità del ragionamento dei giudici di merito.
Le Motivazioni
La motivazione principale dietro la dichiarazione di inammissibilità risiede nella natura stessa del giudizio di Cassazione. La Suprema Corte ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze, non di riesaminare le prove o di stabilire una nuova verità processuale. I ricorsi che cercano di ottenere un ‘terzo grado di giudizio’ sul merito dei fatti sono destinati a fallire.
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la conseguenza di un ricorso inammissibile è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha imposto il versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, poiché non sono emersi elementi per ritenere che il ricorso sia stato proposto senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, richiamando un principio consolidato dalla Corte Costituzionale.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per Cassazione deve basarsi su specifici vizi di legittimità. Chi intende impugnare una sentenza di condanna deve concentrarsi su eventuali errori di diritto o su palesi illogicità della motivazione, evitando di riproporre questioni di fatto già decise nei gradi di merito. Tentare di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione delle prove non solo è un’azione destinata all’insuccesso, ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non presenta uno dei motivi tassativamente previsti dalla legge (art. 606 cod. proc. pen.), come la violazione di legge o un vizio di motivazione, ma si limita a contestare la valutazione dei fatti e delle prove già effettuata dai giudici di merito.
Cosa significa presentare ‘mere doglianze in punto di fatto’?
Significa proporre critiche che mirano a ottenere una nuova e diversa interpretazione delle risultanze probatorie, sovrapponendo la propria valutazione a quella del giudice, senza però denunciare un vero e proprio errore giuridico o un vizio logico nel ragionamento della sentenza impugnata.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8441 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 16/09/1994
avverso la sentenza del 23/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile, essendo costituito solo da mere doglianze in punto di fatto.
Va evidenziato, infatti, come le doglianze sollevate sono tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, più che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall’art. 606 cod. proc. pen.
In particolare, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha evidenziato che l’imputato non fosse limitato a opporre resistenza passiva, ma che – al momento dell’arresto – avesse colpito gli operanti con calci e pugni, cagionando agli stessi un trauma alla mano sinistra e contusioni alla base del collo sinistro.
Anche il secondo motivo non può essere accolto in sede di legittimità.
Il ricorrente, infatti, non tiene conto della ricostruzione dei fatti effettu dalla Corte di appello, la quale, una volta accertato il reato ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 di cui al capo 1, ha evidenziato che le armi di cui ai’ capi 2 e 3 erano state rinvenute unitamente al denaro e a quanto necessario per il confezionamento della sostanza stupefacente e che erano, quindi, riconducibili all’imputato, il quale aveva illegalmente portato in luogo pubblico una pistola (priva di matricola e, quindi, qualificata come arma clandestina), una roncola e un coltello (con una lama di 9,5 cm).
D’altronde, contrariamente a quanto rilevato nel ricorso, nessun vizio logico argonnentativo è ravvisabile nella motivazione sviluppata in relazione ai reati in esame: i giudici della cognizione hanno esplicitato, con motivazione puntuale e adeguata, le ragioni per le quali hanno ritenuto fondata la responsabilità penale in capo all’imputato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024