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Ricorso inammissibile: quando è mera ripetizione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra due sentenze, una per associazione mafiosa e l’altra per corruzione. L’istanza è stata giudicata una mera ripetizione di una precedente, già rigettata, in quanto gli elementi presentati come ‘nuovi’ erano già stati esaminati. La Corte ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Decisione della Cassazione su Istanze Ripetitive

Nel complesso mondo della procedura penale, la fase esecutiva rappresenta un momento cruciale in cui le sentenze di condanna trovano concreta applicazione. Tuttavia, non è raro che vengano presentate istanze volte a modificare il trattamento sanzionatorio. La recente sentenza della Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, offre un’importante lezione su un punto fondamentale: la differenza tra un’istanza con profili innovativi e una mera ripetizione di argomenti già esaminati, che porta a un ricorso inammissibile.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un condannato che stava scontando due pene distinte. La prima, a dieci anni di reclusione, per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.). La seconda, a quattro anni, per reati di corruzione (artt. 319 e 321 c.p.).

L’interessato, tramite il suo difensore, aveva presentato un’istanza al Tribunale competente, in qualità di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento del cosiddetto “vincolo della continuazione” tra i reati oggetto delle due sentenze. In pratica, chiedeva che i diversi reati venissero considerati come parte di un unico disegno criminoso, con conseguente ricalcolo della pena in senso più favorevole.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Tribunale, dopo aver celebrato un’udienza in contraddittorio, ha dichiarato l’istanza inammissibile. La ragione era netta: la richiesta era identica a un’altra già presentata e rigettata in precedenza, decisione che era stata a sua volta oggetto di un ricorso per Cassazione, anch’esso respinto.

Il condannato, non rassegnato, ha proposto un nuovo ricorso per Cassazione, sostenendo che la sua ultima istanza non fosse affatto ripetitiva, ma contenesse elementi di novità non esaminati in precedenza. Tra questi, evidenziava che la condotta corruttiva (come l’assunzione della moglie di un agente penitenziario in cambio di favori) rientrava nello schema più ampio di gestione di attività imprenditoriali per scambi illeciti, tipico del reato associativo. Inoltre, citava due conversazioni intercettate che, a suo dire, provavano che l’accordo corruttivo fosse antecedente alla sua detenzione.

Il ricorso inammissibile e le sue ragioni in Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando in toto la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno sottolineato che il giudice dell’esecuzione aveva agito correttamente fissando un’udienza per valutare gli asseriti elementi di novità. Questa procedura ha permesso di verificare, nel rispetto del contraddittorio, che le argomentazioni presentate come innovative erano in realtà una riproposizione di questioni già ampiamente dibattute e decise.

La Corte ha specificato che sia le conversazioni intercettate sia i collegamenti tra la condotta corruttiva e gli scopi dell’associazione criminale erano già stati vagliati e ritenuti insufficienti a dimostrare il medesimo disegno criminoso nella precedente ordinanza. Pertanto, l’istanza non faceva altro che reiterare, magari con una diversa formulazione, le stesse tesi difensive, senza apportare alcun elemento probatorio o giuridico realmente nuovo.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio cardine della procedura: l’inammissibilità della mera riproposizione di una richiesta già rigettata. Il procedimento esecutivo, come disciplinato dall’art. 666 del codice di procedura penale, prevede che un’istanza possa essere decisa “de plano” (senza udienza) solo in casi specifici, tra cui la manifesta infondatezza o, appunto, la riproposizione di una richiesta già decisa.

In questo caso, il Tribunale ha correttamente scelto di procedere con un’udienza per garantire al ricorrente ogni possibilità di difesa, ma all’esito di tale approfondimento è emersa inequivocabilmente la natura ripetitiva dell’istanza. La Corte ha ribadito che gli aspetti presentati come innovativi erano già stati esaminati e che, di conseguenza, la dichiarazione di inammissibilità era giuridicamente corretta e inevitabile.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito chiaro: per superare il vaglio di ammissibilità, un’istanza presentata dopo una precedente reiezione deve contenere elementi di fatto o di diritto genuinamente nuovi, che non siano stati oggetto della precedente valutazione del giudice. Riformulare o riproporre le stesse argomentazioni, anche se sotto una luce apparentemente diversa, non è sufficiente. Tale condotta processuale conduce a una declaratoria di ricorso inammissibile, con la conseguenza, prevista dall’art. 616 c.p.p., della condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza dei motivi di impugnazione.

Quando un ricorso in fase di esecuzione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso in fase di esecuzione viene dichiarato inammissibile quando è manifestamente infondato, quando mancano le condizioni di legge oppure, come nel caso specifico, quando si limita a riproporre una richiesta già presentata e rigettata in precedenza.

È sufficiente presentare argomenti già esaminati come ‘nuovi’ per evitare una dichiarazione di inammissibilità?
No, non è sufficiente. Il giudice valuta la sostanza degli argomenti. Se emerge che gli elementi definiti ‘nuovi’ dal ricorrente sono in realtà già stati considerati e decisi in un provvedimento precedente, l’istanza verrà considerata meramente ripetitiva e, di conseguenza, inammissibile.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, 3.000 euro) a favore della cassa delle ammende, data l’evidente inammissibilità dei motivi di ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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