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Ricorso inammissibile: quando è mera ripetizione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile perché i motivi erano una mera reiterazione di doglianze già respinte in appello e contestavano la discrezionalità del giudice sulla pena, un ambito non sindacabile in sede di legittimità. La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Spiega i Limiti dell’Appello

Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è un’opportunità per ridiscutere l’intero processo. Una recente ordinanza chiarisce ancora una volta i paletti per evitare una declaratoria di ricorso inammissibile, sottolineando l’importanza della specificità dei motivi. Il caso in esame dimostra come la mera riproposizione delle stesse argomentazioni già valutate in appello non costituisca una critica valida ed efficace della sentenza impugnata, portando a una condanna alle spese e a una sanzione.

L’analisi del caso: un ricorso respinto

Una persona, condannata dalla Corte d’Appello, decideva di presentare ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi principali. Il primo motivo lamentava la violazione di una norma del codice penale, mentre il secondo contestava sia il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sia l’eccessiva entità della pena inflitta. Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato completamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile.

I motivi del ricorso inammissibile

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati della procedura penale, che definiscono chiaramente i limiti del giudizio di legittimità. Vediamo nel dettaglio perché entrambi i motivi sono stati respinti.

La mera ripetizione dei motivi d’appello

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile perché non era altro che una ‘pedissequa reiterazione’ delle argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha ribadito che un ricorso, per essere ammissibile, deve svolgere una funzione di critica argomentata e specifica contro la decisione impugnata. Limitarsi a ripetere le stesse doglianze, senza confrontarsi con le ragioni esposte dai giudici del grado precedente, rende il motivo non specifico, ma solo apparente, e quindi inidoneo a superare il vaglio di ammissibilità.

L’insindacabilità della discrezionalità del giudice

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha ricordato che la determinazione della pena e la concessione delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere è esercitato sulla base dei criteri stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che riguardano la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. In sede di legittimità, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma può solo verificare che la motivazione sia logica e non contraddittoria. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello avesse adeguatamente giustificato le proprie scelte sanzionatorie, rendendo la contestazione manifestamente infondata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il principio cardine è che il giudizio di Cassazione non è un ‘terzo grado di merito’. Il suo compito non è rivalutare i fatti, ma assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Pertanto, un ricorso inammissibile è quello che, mascherato da violazione di legge, tenta in realtà di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove o delle circostanze di fatto.

La Corte ha sottolineato che l’onere argomentativo del giudice di merito era stato pienamente assolto attraverso un ‘congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti’. Di conseguenza, non vi era spazio per una censura in sede di legittimità.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, evidenzia la necessità per i difensori di formulare motivi di ricorso che siano critici, specifici e pertinenti rispetto alle motivazioni della sentenza impugnata, evitando la semplice riproposizione di argomenti già spesi. In secondo luogo, conferma che le decisioni relative alla quantificazione della pena sono difficilmente attaccabili in Cassazione, a meno di vizi logici macroscopici nella motivazione. Infine, la decisione rammenta le conseguenze negative di un ricorso inammissibile: la ricorrente è stata condannata non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, un costo significativo che disincentiva la proposizione di impugnazioni meramente dilatorie o prive di fondamento.

Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se si limita a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, risultando così un motivo solo apparente e non specifico.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice di merito?
No, non è consentito in sede di legittimità contestare la graduazione della pena o il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, poiché tali valutazioni rientrano nella discrezionalità del giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice è mancante o manifestamente illogica.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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