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Ricorso inammissibile: quando è mera reiterazione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile contro una condanna per furto aggravato. La decisione si fonda sul principio che l’appello non può limitarsi a una mera reiterazione dei motivi già presentati e respinti in appello, né può trasformarsi in un tentativo di riesaminare i fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione e la Mera Reiterazione dei Motivi d’Appello

Quando si impugna una sentenza, specialmente davanti alla Corte di Cassazione, è fondamentale comprendere i limiti entro cui è possibile muoversi. Un ricorso inammissibile rappresenta un ostacolo insormontabile che impedisce alla Corte di entrare nel merito della questione. Un recente provvedimento della Suprema Corte chiarisce, ancora una volta, perché la semplice ripetizione delle argomentazioni già respinte in appello non costituisce un valido motivo di ricorso, ma conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

I Fatti del Caso

Il caso in esame trae origine da una condanna per furto aggravato in abitazione, confermata dalla Corte d’Appello. L’imputata, non accettando la decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte dei giudici di secondo grado riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale. La difesa sosteneva che la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove fossero state errate e illogiche.

Il Ricorso in Cassazione e il problema del ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni, tutte riconducibili a un principio cardine del giudizio di legittimità. Il ricorso, infatti, si limitava a riproporre le stesse identiche critiche già sollevate con i motivi d’appello e a cui la Corte territoriale aveva già fornito una risposta congrua, coerente e priva di vizi logici evidenti.

Questo comportamento processuale viene definito “mera reiterazione” e non è sufficiente per attivare un controllo da parte della Cassazione. Inoltre, la difesa ha tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove, presentando una versione alternativa dei fatti (la presenza dell’imputata sul luogo del delitto a causa di un guasto all’auto). Questo tipo di contestazione, che attiene al merito della vicenda, è definito “doglianza in fatto” e non può essere esaminato in sede di legittimità, dove il compito della Corte è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non ricostruire i fatti come un terzo grado di giudizio.

La Forza della “Doppia Conforme”

Un altro elemento che ha pesato sulla decisione è la cosiddetta “doppia conforme”. Quando il tribunale di primo grado e la Corte d’Appello giungono alla stessa conclusione condannatoria, la motivazione della sentenza di secondo grado si salda con quella precedente, creando un impianto argomentativo ancora più solido e difficile da scardinare con censure generiche o ripetitive.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ribadito che il ricorso per Cassazione deve indicare vizi specifici della sentenza impugnata, che siano riconducibili a quelli tassativamente previsti dall’articolo 606 del codice di procedura penale. Non è possibile utilizzare questo strumento per sostituire la propria valutazione delle prove a quella, logicamente argomentata, del giudice di merito. La sentenza della Corte d’Appello era stata ritenuta esente da critiche, in quanto aveva risposto in modo puntuale a tutte le obiezioni della difesa. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato privo dei requisiti di legge, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: un ricorso per Cassazione non può essere una semplice riedizione del processo d’appello. Per avere una possibilità di successo, è necessario individuare e argomentare specifiche violazioni di legge o vizi manifesti di logicità nella motivazione della sentenza, evitando di contestare l’apprezzamento dei fatti già compiuto dai giudici di merito. La mera reiterazione di argomenti già vagliati e respinti conduce quasi certamente a una declaratoria di ricorso inammissibile, con aggravio di spese per il ricorrente.

Perché un ricorso può essere dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile se si limita a ripetere gli stessi motivi già presentati e respinti in appello (mera reiterazione) o se critica la valutazione dei fatti e delle prove (doglianze in fatto), anziché contestare specifiche violazioni di legge o vizi logici della motivazione.

Cosa si intende per ‘mera reiterazione’ dei motivi d’appello?
Significa riproporre in Cassazione le stesse argomentazioni e critiche già sollevate davanti alla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi e specifici profili di illegittimità della sentenza impugnata. Questo non è consentito perché il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo viene stabilito dal giudice in base alla causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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