Ricorso Inammissibile: L’Analisi della Cassazione su un Caso di Spaccio
L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione gestisca un ricorso inammissibile perché basato su motivi ritenuti manifestamente infondati. Il caso riguarda una condanna per violazione della legge sugli stupefacenti, dove la difesa ha tentato, senza successo, di ottenere una riqualificazione del reato in una fattispecie di minore gravità. Vediamo nel dettaglio la vicenda processuale e i principi affermati dalla Suprema Corte.
I Fatti del Processo
Una persona è stata condannata dalla Corte d’Appello di Lecce con una sentenza del 12 gennaio 2024. Non accettando la decisione, ha proposto ricorso per cassazione. L’obiettivo principale del ricorso era ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che dovesse rientrare nella fattispecie di lieve entità prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. n. 309/1990). Questa norma prevede pene significativamente più miti per i casi di spaccio considerati di minima offensività.
La Decisione della Corte e il Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con ordinanza del 29 novembre 2024, ha messo fine alla questione dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o meno dell’imputata, ma si concentra sulla validità stessa del ricorso presentato. La Corte ha stabilito che i motivi addotti non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità, ovvero non potevano essere discussi davanti alla Cassazione.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha basato la sua decisione su una motivazione netta e concisa: i motivi del ricorso erano manifestamente infondati. Questo significa che le argomentazioni della difesa apparivano prive di fondamento in modo talmente evidente da non richiedere un’analisi approfondita.
La Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva già esaminato e respinto le stesse censure con argomenti giuridici corretti e completi. In particolare, i giudici di merito avevano analizzato, in una visione complessiva, tutti gli elementi del caso concreto, giungendo alla conclusione motivata di escludere la qualificazione del fatto come di lieve entità. La Suprema Corte, quindi, non può essere chiamata a riesaminare nel merito valutazioni già correttamente effettuate nei gradi precedenti del giudizio.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche dirette per la ricorrente, che è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende. Questo provvedimento ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. È, invece, un controllo di legittimità, volto a verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito. Quando un ricorso si limita a riproporre questioni di fatto già adeguatamente risolte, senza evidenziare vizi di legge o di motivazione, l’esito più probabile è una declaratoria di inammissibilità, con le relative sanzioni pecuniarie.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti “manifestamente infondati”. La Corte ha stabilito che le questioni sollevate erano già state adeguatamente esaminate e respinte con argomenti giuridici corretti dalla Corte d’Appello.
Qual era l’obiettivo principale del ricorso presentato dall’imputata?
L’obiettivo era ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto, chiedendo che fosse riconosciuto come un reato di minore gravità secondo la fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti).
Quali sono le conseguenze per la ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3256 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3256 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GENOVESI NOME nato a CAMPI SALENTINA il 26/01/1990
avverso la sentenza del 12/01/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 200 Genovesi
NRG 27750/24
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità;
Considerato, infatti, che i motivi sono manifestamente infondati, in quanto relativi a profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (si veda, in particolare, pag. 7 in cui l Corte di appello ha evidenziato, in una visione complessiva, gli elementi che nel caso concreto portavano ad escludere la diversa qualificazione del fatto nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/11/2024.