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Ricorso inammissibile: quando è generico e riproduttivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per false dichiarazioni a pubblico ufficiale (art. 496 c.p.). La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano generici e si limitavano a riproporre questioni già valutate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, tentando una inammissibile rivalutazione dei fatti. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione ribadisce i limiti del giudizio di legittimità

Presentare un ricorso in Cassazione richiede un’attenzione meticolosa ai requisiti di forma e sostanza. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come un’impugnazione possa essere dichiarata un ricorso inammissibile quando i suoi motivi risultano generici e meramente riproduttivi di argomentazioni già esaminate. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i confini del giudizio di legittimità e le conseguenze di un’impugnazione non correttamente formulata.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una condanna per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sull’identità personale, previsto dall’articolo 496 del codice penale. La sentenza di primo grado era stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello, che aveva ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi. Con questi, la difesa censurava la sentenza di secondo grado, sostenendo un’errata valutazione delle prove e una violazione della legge penale. In sostanza, si contestava l’affermazione di colpevolezza basata sugli elementi raccolti durante il processo.

L’analisi del ricorso inammissibile da parte della Corte

La Corte di Cassazione, esaminando l’atto di impugnazione, ha rapidamente concluso per la sua totale inammissibilità. Gli Ermellini hanno evidenziato come tutti e tre i motivi di ricorso fossero affetti da vizi insanabili che ne precludevano l’esame nel merito.

I giudici hanno qualificato le doglianze come “generiche” e “meramente riproduttive” di censure già adeguatamente vagliate e correttamente respinte dai giudici di merito. Invece di contestare specifici vizi logici o giuridici della sentenza d’appello, il ricorso si limitava a riproporre la stessa linea difensiva, tentando di sollecitare una nuova e diversa lettura delle prove. Questa operazione è però preclusa nel giudizio di legittimità, il cui compito non è quello di essere un “terzo grado di giudizio” sui fatti, ma di verificare la corretta applicazione del diritto.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. In primo luogo, viene ribadito che il ricorso non può limitarsi a ripetere le stesse argomentazioni già presentate in appello, soprattutto quando la Corte territoriale le ha già esaminate fornendo una risposta logica e coerente. La sentenza impugnata, infatti, aveva dato conto in modo dettagliato e congruo di tutti gli elementi probatori alla base della condanna, con un’argomentazione definita “improntata al criterio della plausibile opinabilità di apprezzamento”.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che per criticare la valutazione delle prove in sede di legittimità, non è sufficiente proporre una lettura alternativa, ma è necessario allegare “specifici, decisivi ed inopinabili travisamenti” delle fonti di prova. Ciò significa dimostrare che il giudice di merito ha letto una prova in modo palesemente errato o ne ha ignorato l’esistenza. Nel caso di specie, nessuna di queste condizioni era stata soddisfatta. Poiché la motivazione delle sentenze di merito era priva di “illogicità di macroscopica evidenza”, il ricorso è stato inevitabilmente respinto.

Le Conclusioni

La dichiarazione di inammissibilità ha comportato due conseguenze significative per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza rappresenta un monito importante: il ricorso in Cassazione è uno strumento tecnico che deve essere utilizzato per denunciare precisi errori di diritto o vizi logici manifesti, non per tentare di ottenere una terza valutazione dei fatti. Una strategia difensiva che non si attiene a queste regole è destinata non solo al fallimento, ma anche a comportare ulteriori oneri economici per l’imputato.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo la decisione, un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici, si limitano a riprodurre censure già esaminate e respinte nei gradi di merito, e mirano a ottenere una nuova valutazione delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Cosa significa che i motivi di ricorso sono “meramente riproduttivi”?
Significa che l’atto di impugnazione si limita a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e adeguatamente respinte dai giudici delle precedenti istanze (primo grado e appello), senza introdurre nuove critiche specifiche contro la logica della sentenza impugnata.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La parte che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione non valida.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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