Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti alla Rivalutazione dei Fatti
Quando si presenta un ricorso alla Corte di Cassazione, è fondamentale comprendere i limiti del suo giudizio. Un caso recente ha ribadito un principio cardine: la Cassazione non è un terzo grado di merito e un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile per chi cerca di ottenere una nuova valutazione delle prove. L’ordinanza in esame offre uno spunto prezioso per capire perché un ricorso generico e ripetitivo non solo è destinato al fallimento, ma comporta anche costi aggiuntivi per il proponente.
Il Caso: La Richiesta di Indulto e la Determinazione della Fine del Reato
La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di un condannato di ottenere la concessione dell’indulto. Per stabilire se il beneficio fosse applicabile, era cruciale determinare la data esatta in cui era cessata la sua partecipazione a un’associazione criminale (il cosiddetto dies ad quem della condotta). Il Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta, individuando la fine della partecipazione in un momento successivo a quello sostenuto dalla difesa.
I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva
L’imputato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il Tribunale avesse commesso un errore di valutazione. La difesa argomentava che la partecipazione all’associazione si era interrotta anni prima della data fissata dal giudice. A supporto di questa tesi, venivano citate:
* La confessione dello stesso ricorrente, che indicava l’insorgere di contrasti con il gruppo criminale.
* Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo cui i rapporti tra i due, in un determinato periodo, erano solo di amicizia e legati ad attività lecite.
* L’assenza di prove, da parte di altri collaboratori, di un suo contributo attivo al sodalizio dopo una certa data.
In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare questi elementi probatori per giungere a una diversa conclusione sulla durata della sua condotta illecita.
La Decisione della Cassazione: un Chiaro Esempio di Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile definendolo manifestamente infondato e generico. Questa decisione non entra nel merito della questione (cioè se la partecipazione fosse davvero cessata prima o dopo), ma si concentra sulla natura stessa dell’impugnazione presentata. La Corte ha stabilito che il ricorso non presentava vizi di legittimità, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal giudice dell’esecuzione, sollecitando una rivalutazione dei fatti che non compete alla Cassazione.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione dell’ordinanza è un vero e proprio manuale sui limiti del giudizio di legittimità. I giudici hanno chiarito che:
1. La valutazione del giudice di merito era logica: Il Tribunale aveva esaminato tutte le prove in modo coerente, comprese le dichiarazioni dei collaboratori e dello stesso imputato, deducendo logicamente che la partecipazione era continuata almeno fino al 2009. Le affermazioni di un collaboratore su presunti rapporti di sola amicizia non escludevano, secondo il giudice, la permanenza nel gruppo criminale.
2. Il ricorso era una mera ripetizione: Il ricorrente non ha evidenziato una manifesta illogicità o una contraddittorietà nella motivazione del provvedimento impugnato. Si è limitato a riproporre la propria tesi difensiva, chiedendo di fatto alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella, non viziata, del giudice precedente.
3. Il ruolo della Cassazione non è rivalutare i fatti: La Corte ha ribadito, citando consolidata giurisprudenza, che il suo compito è verificare la sussistenza dei vizi previsti dall’art. 606 del codice di procedura penale (come la violazione di legge o il vizio di motivazione), non di condurre un nuovo esame delle prove per stabilire una diversa ricostruzione dei fatti.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche di un Ricorso Generico
La dichiarazione di inammissibilità ha avuto conseguenze concrete per il ricorrente. Essendo stato ritenuto responsabile per aver proposto un ricorso senza fondamento, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questo caso dimostra in modo inequivocabile che presentare un ricorso in Cassazione non è un’opportunità per un terzo processo. È un controllo di legittimità che richiede l’individuazione di specifici errori giuridici. Un appello che si limita a contestare la valutazione delle prove operata dal giudice di merito, senza dimostrare un’effettiva illogicità nel suo ragionamento, è destinato a essere dichiarato un ricorso inammissibile, con un aggravio di costi per chi lo ha promosso.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando è manifestamente infondato, generico o non rispetta i requisiti di legge. In questo caso, è stato ritenuto tale perché si limitava a ripetere le argomentazioni già respinte in precedenza e chiedeva una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
Può la Corte di Cassazione riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice precedente, ma solo di verificare che non vi siano stati errori di diritto o vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata.
Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile e la Corte ritiene che sia stato proposto per colpa del ricorrente (ad esempio, perché manifestamente infondato), quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4870 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4870 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 28/04/1965
avverso l’ordinanza del 15/07/2024 del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza emessa in data 15 luglio 2024 con cui il Tribunale di Civitavecchia, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la sua richiesta di concessione dell’indulto in relazione alla condanna emessa in data 10 marzo 2021 dalla Corte di appello di Napoli, previo accertamento del dies ad quem della condotta del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 ivi contestato;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione, per avere l’ordinanza individuato in modo erroneo l’effettivo limite temporale della sua partecipazione all’associazione criminosa, basandosi sulla contestazione che, genericamente, lo indica nella data del suo arresto, eseguito il 09/09/2013, senza valutare adeguatamente la sua confessione, in cui dichiarava che dall’agosto 2006 iniziarono dei contrasti con l’associazione stessa, senza valutare le dichiarazioni di NOME COGNOME secondo cui lo stesso ricorrente, dal 2005 al 2008, aveva avuto con lui rapporti solo di amicizia poiché svolgevano entrambi, in Spagna, delle attività legittime, e infine senza valutare adeguatamente le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia che, pur confermando la partecipazione del ricorrente all’associazione criminosa, non forniscono elementi circa un’attività da lui svolta dopo il 2006, mancando quindi la prova di un suo contributo anche solo morale all’associazione stessa;
ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato, in quanto l’ordinanza impugnata ha valutato in modo logico e conforme al loro contenuto le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia e dello stesso ricorrente, deducendo da queste la continuità della partecipazione all’associazione criminosa quanto meno sino al 2009, epoca di inizio di una sua detenzione per altra causa, in particolare sottolineando che lo stesso ricorrente, nel giudizio sfociato nella condanna in questione, ha ammesso di avere operato quale referente nell’associazione in Spagna proprio a partire dal 2005, circostanza di fatto confermata dal collaboratore NOME COGNOME e ritenendo pertanto che le affermazioni dell’Imperiale non escludono la permanenza del ricorrente nell’associazione criminosa anche nell’arco temporale da questi indicato;
ritenuto, pertanto, che il ricorso sia inammissibile per la sua genericità, dal momento che il ricorrente si limita a ripetere il contenuto dei motivi di appello e a riproporre la tesi difensiva, senza indicare alcuna manifesta illogicità o
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, e chiedendo a questa Corte, di fatto, una diversa valutazione circa il significato degli elementi esaminati dal giudice dell’esecuzione, in contrasto con i principi giurisprudenziali, secondo cui la corte di legittimità può solo verificare la sussistenza di uno dei vizi previsti dall’art. 606 cod. proc. pen., ma non può sostituire alla valutazione espressa dal giudice di merito, se non viziata, una propria, diversa valutazione dei fatti o della loro gravità (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, per l’insussistenza dei vizi dedotti, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente