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Ricorso inammissibile: quando è generico e di fatto

Un individuo condannato per aver bruciato rifiuti ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi erano generici e basati su una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: La Cassazione chiarisce i limiti dell’impugnazione

Quando si impugna una sentenza, è fondamentale comprendere i confini del giudizio di legittimità. Un ricorso inammissibile non è solo un’occasione persa, ma comporta anche conseguenze economiche. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce principi cardine della procedura penale, spiegando perché un ricorso basato su censure di fatto o motivi generici non possa essere accolto.

I Fatti del Caso: Il Ritrovamento sul Luogo del Reato

La vicenda processuale ha origine con la condanna di un uomo ritenuto responsabile di aver bruciato illecitamente dei rifiuti. Le prove a suo carico erano state ritenute decisive dalla Corte d’Appello: l’uomo era l’unica persona presente sul luogo al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine. Inoltre, era stato trovato in possesso di una busta contenente 2,8 kg di rame appena combusto e aveva in tasca due accendini. Elementi, questi, che secondo i giudici di merito componevano un quadro probatorio chiaro e univoco della sua responsabilità penale.

Analisi del Ricorso Inammissibile e le Censure di Fatto

Il ricorrente ha presentato due motivi di doglianza alla Suprema Corte. Il primo motivo contestava la valutazione della sua responsabilità penale, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Tuttavia, la Cassazione ha prontamente dichiarato questo motivo inammissibile. La ragione è cruciale: il ricorso, di fatto, non denunciava un vero errore logico-giuridico, ma si limitava a riproporre una diversa lettura delle prove, chiedendo alla Corte di legittimità di riesaminare i fatti. Questo tipo di critica, definito “censura in punto di fatto”, esula completamente dalle competenze della Cassazione, il cui ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito, ma di controllore della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione.

La Causa di Non Punibilità: Un Motivo Troppo Generico

Il secondo motivo di ricorso riguardava la mancata applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto. Anche in questo caso, il ricorso inammissibile è stato tale per la sua “genericità”. La Corte ha sottolineato come il ricorrente non avesse nemmeno allegato gli elementi specifici e concreti necessari per dimostrare la sussistenza dei presupposti per tale beneficio. Non basta invocare una norma; è onere di chi impugna fornire al giudice tutti gli elementi fattuali su cui basare la richiesta, dimostrando, ad esempio, la minima entità del danno o del pericolo e la non abitualità del comportamento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati. L’inammissibilità deriva da una duplice carenza dell’atto di impugnazione. In primo luogo, la pretesa di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, già adeguatamente vagliato e motivato dalla Corte di merito, si scontra con la natura stessa del giudizio di Cassazione. La motivazione della sentenza d’appello è stata ritenuta “immune da vizi logici” e, pertanto, non censurabile in questa sede.
In secondo luogo, la genericità del secondo motivo ha impedito qualsiasi valutazione. Il ricorrente si è limitato a enunciare una violazione di legge senza sostanziarla con argomentazioni specifiche relative al caso concreto. La Corte ha richiamato una propria precedente pronuncia (Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024) per ribadire che l’onere di allegazione specifica grava sul ricorrente.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, non essendo stata ravvisata un’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 2000), è stata disposta la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve da monito: un ricorso in Cassazione deve essere tecnicamente impeccabile, focalizzato su questioni di diritto e supportato da argomentazioni specifiche, per evitare che si trasformi in un esito negativo non solo dal punto di vista processuale, ma anche economico.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano generici e cercavano di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove (censure in punto di fatto), attività preclusa alla Corte di Cassazione. Inoltre, la richiesta di applicazione della non punibilità per tenuità del fatto non era supportata da alcuna allegazione specifica.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
In base all’ordinanza e all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, alla Cassa delle ammende.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove del processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione delle sentenze precedenti, non riesaminare le prove o ricostruire i fatti. Tentare di farlo rende il ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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