Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18844 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18844 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato il 25/10/1990 in ROMANIA
NOME COGNOME nato il 30/07/1986 in ROMANIA
avverso la sentenza in data 26/09/2024 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità de i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Costel NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con ricorsi separati, impugnano la sentenza in data 26/09/2024 della Corte di appello di Palermo, che ha confermato la sentenza in data 13/12/2022 del G.u.p. del Tribunale di Agrigento, che aveva condannato entrambi per il delitto di estorsione e il solo COGNOME anche per il delitto di ricettazione.
Deducono:
1.1. NEBLEA Vasile.
1.1.1. Vizio di motivazione in relazione all’art. 629 cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente mancano i presupposti per ritenere che COGNOME abbia concorso alla condotta di NOMECOGNOME non essendo a tal fine sufficienti uno scambio di telefonate tra i due coimputati e la vittima del delitto.
1.1.2. Vizio di motivazione per la mancata indicazione della condanna inflitta a Neblea, nella pagina successiva al frontespizio.
Il motivo viene riportato integralmente: «Questa ulteriore doglianza si fonda sul fatto ebbene, come ben si può notare la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 26/09/2024 e precisamente a pagina successiva al frontespizio relativa agli appellanti, è stato omesso ogni riferimento riguardante la posizione relativa al Sig. COGNOME COGNOME riguardante la condanna inflittagli allo stesso, da ciò ne deriva che il COGNOME COGNOME né tanto meno il suo difensore, nonché Procuratore Speciale sono stati messi nelle condizioni di proporre ricorso per Cassazione i termini della relativa condanna fatta in primo grado, perché poi alla fine della sentenza si fa riferimento soltanto alla conferma della sentenza di primo grado, per cui per tale motivo si chiede l’annullamento con rinvio della sentenza emessa».
1.1.3. ‘Erronea motivazione inerente la mancata considerazione nel non av ere quantomeno derubricato il reato originario da art. 629 c.p. in art. 393 c.p.’.
Secondo il ricorrente il fatto andava qualificato ai sensi dell’art. 393 cod. pen., in quanto COGNOME interveniva quale intermediario in buona fede, ritenendo di agire per recuperare un credito vantato da COGNOME nei confronti della vittima.
1.1.4. ‘Erronea motivazione inerente la ma ncata argomentazione quanto meno in ordine alla valutazione degli effetti della pena di cui all’art. 133 cod. pen.’.
Il ricorrente sostiene che poteva essere inflitta una pena meno grave, avendo riguardo alla presenza di un unico precedente penale risalente nel tempo, al ruolo marginale avuto nella vicenda e al fatto di essere intervenuto in buona fede nella condotta realizzata da NOMECOGNOME convinto della liceità della sua pretesa.
1.1.5. ‘Erronea motivazione inerente la mancata applicazione della nuova formulazione dell’art. 442 , comma 2bis cod. proc. pen. in relazione alla scelta del giudizio abbreviato ai fini del riconoscimento della ulteriore riduzione di 1/6 in caso di mancata impugnazione alla luce della riforma Cartabia’.
Il ricorrente premette che l’art. 442 , comma 2bis , cod. proc. pen. è entrato in vigore dopo la presentazione dell’appello, così che la corte territoriale avrebbe dovuto rimettere nei termini l’appellante, fissare udienza di discussione orale e avvisare le parti della possibilità di rinunciare o meno all’atto di appel lo, per poter eventualmente giovarsi di un’ulteriore riduzione di 1/6 rispetto alla pena inflitta con rito abbreviato.
1.2. DRAGOMIR NOME COGNOME.
1.2.1. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen.
Secondo il ricorrente non emergono condotte violente o minacciose nei confronti della vittima del reato, così che non può ritenersi configurato il delitto di estorsione.
1.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 629 e 393 cod. pen.
Si assume che dalla testimonianza di NOME era emerso che NOME vantava un credito nei confronti della vittima del reato, così configurandosi il delitto di cui all’art. 393 cod. pen.
1.2.3. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 648, 61 n. 2 cod. pen.
S i assume che NOME doveva considerarsi l’autore del furto dei documenti di Petraru, visto che la carta d’identità di questi insieme agli altri documenti rimaneva nell’auto dello stesso NOME.
1.2.4. Inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 133 e 62bis cod. pen.
Secondo il ricorrente, la valutazione del contegno processuale, le sue condizioni di vita personali, famigliari e di salute oltre che la condotta successiva alla condotta delittuosa potevano condurre al riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
Si osserva che la negazione delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena vengono giustificate dai giudici di merito con un apodittico e non condivisibile richiamo alle modalità complessivo del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di COGNOME e di Neblea si risolvono entrambi in inammissibili quanto generiche deduzioni di merito, intese a fornire una ricostruzione dei fatti in chiave difensiva, trascurando le argomentazioni poste a fondamento della loro condanna, siccome aderenti alle emergenze processuali.
1.1. Entrambi sono stati ritenuti responsabili del delitto di estorsione sulla base delle dichiarazioni rese dalla vittima (COGNOME a carico di entrambi, siccome riscontrati -non da ultimocon l’arresto in fl agranza di reato di COGNOME in occasione della c.d. consegna controllata, agli esiti della perquisizione domiciliare (nel corso della quale venivano rinvenuti i documenti della vittima di cui si chiedeva la somma di denaro per la restituzione), all’esame dei contatti telefonici e al riconoscimento vocale e fotografico di Neblea.
1.2. I motivi sono privi di correlazione rispetto alle argomentazioni esposte nella doppia sentenza conforme e sono disancorate dalle stesse risultanze processuali, siccome utilizzate e utilizzabili nel giudizio celebrato allo stato degli atti, in forza dei quali i giudici di merito hanno acclarato che la condotta è stata realizzata dagli odierni ricorrenti, in forma corale e coordinata (sì da escludersi un ruolo
marginale e in buona fede di Neblea) al fine di ottenere una somma di denaro non dovuta per la restituzione di documenti rubati a Petraru, da soggetti ignoti.
Nella ricostruzione dei fatti operata dai giudici della doppia sentenza conforme emerge la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato, risultando presente la minaccia, insita nella prospettazione della perdita definitiva del bene sottratto, in mancanza della corresponsione del denaro richiesto.
Tanto vale a escludere la configurabilità del delitto di ragion fattasi, mancando ogni prova circa l’esistenza di un credito tutelabile in sede giudiziale, non essendo a tal fine utili le dichiarazioni rese della compagna di NOMECOGNOME che riferiva di atteggiamenti molesti tenuto da NOME, del tutto inidonei a depotenziare la carica aggressiva e ingiustificata della pretesa economica.
Il solo NOMECOGNOME inoltre, assume in maniera affatto generica di essere l’autore del furto, senza addurre elementi concreti che lo facciano ritenere responsabile del delitto presupposto, non essendo a tal fine idoneo fare riferimento al mero possesso dei documenti sottratti a COGNOME
A tale proposito va ricordato che risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, e quindi anche di telefoni cellulari, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso (così, ex multis , Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kobe, Rv. 270120 -01).
I giudici, peraltro, hanno puntualmente motivato anche in ordine alla negazione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, dando puntuale risposta alle doglianze difensive, pedissequamente reiterate da entrambi i ricorrenti in questa sede, in relazione a tutti i temi riassunti nella parte narrativa.
1.3. Tutte le censure dei ricorsi di Dragomir e di Neblea, in relazione a tutti i temi trattati, vengono intitolate al vizio di motivazione, alla violazione di legge e/o all’inosservanza di norma processuale ma, in realtà, esse vanno più correttamente collocate nella nozione di travisamento del fatto, in quanto la sentenza impugnata viene censurata -in sostanza- per non avere accolto la ricostruzione fattuale proposta dalla difesa, sulla base di una lettura delle emergenze istruttorie alternativa a quella ritenuta dalla corte di appello.
Da ciò una prima ragione di inammissibilità, atteso che «il giudice di legittimità, investito di un ricorso che proponga una diversa valutazione degli elementi di prova (cosiddetto travisamento del fatto), non può optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando l’attendibilità dei testi e le conclusioni dei periti e consulenti tecnici, potendo solo verificare, negli stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultato della prova sia quello indicato dal giudice di merito, sempre che questa verifica non si risolva in una valutazione della prova (…)» (Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, COGNOME, Rv. 229690 -01).
Con l’ulteriore precisazione che «in tema di ricorso per cassazione, non è possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto”, giacché è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Mentre è consentito (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), dedurre il “travisamento della prova”, che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest’ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano» (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235656 -01).
A parte tali superiori e assorbenti rilievi, alcune ulteriori osservazioni necessitano in relazione al ricorso di Neblea, con riguardo al motivo integralmente riportato al punto 1.1.2. della narrativa.
Dalla lettura di tale motivo, invero, non è possibile evincere quale sia la violazione del diritto di difesa che sembra essere dedotto; ma, soprattutto, il ricorrente si duol e del fatto che ‘ precisamente a pagina successiva al frontespizio relativa agli appellanti, è stato omesso ogni riferimento riguardante la posizione relativa al Sig. COGNOME COGNOME riguardante la condanna inflittagli allo stesso ‘, al cui riguardo non può che rilevarsi come non vi sia la violazione di alcuna norma che preveda l’obbligo di tale -non meglio specificata- indicazione a pena di nullità.
Da qui la manifesta infondatezza e il difetto di specificità del motivo, visto che la norma eventualmente violata, con conseguente lesione del diritto di difesa non viene neanche indicata dallo stesso ricorrente, così risulta impossibile delineare la censura mossa avverso la sentenza di appello.
A eguale conclusione d’inammissibilità si perviene anche in relazione al sesto motivo d’impugnazione del ricorso di Neblea, il quale si duole della mancata applicazione, sia pure retroattivamente, dell’art. 442 comma 2bis cod. proc. pen., il quale prevede un’ulteriore riduzione di 1/6 della pena inflitta con il giudizio abbreviato, qualora il condannato non proponga appello.
Ora, a prescindere della portata retroattiva della norma, la rinuncia all’appello costituisce presupposto imprescindibile per l’astratta applicazione della norma.
Tale presupposto manca nel caso in esame, visto che non risulta che l’odierno ricorrente abbia rinunciato all’appello e, anzi, risulta il contrario, visto che, con l ‘odierno ricorso, si coltivano in via principale motivi relativi al merito, siccome dedotti con il gravame e respinti dalla corte territoriale.
Da ciò discende l’inammissibilità del motivo, per manifesta infondatezza.
Da quanto esposto discende l’inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/04/2025