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Ricorso inammissibile: quando è censura di fatto

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile contro una condanna per operazioni fittizie. L’appello è stato respinto in quanto si limitava a riproporre critiche sui fatti, già correttamente valutate dai giudici di merito, senza evidenziare vizi di legge o illogicità manifeste nella motivazione della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione ribadisce i limiti del giudizio di legittimità

Quando un ricorso per Cassazione supera i confini del giudizio di legittimità per trasformarsi in una richiesta di riesame del merito, la sua sorte è segnata: viene dichiarato ricorso inammissibile. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha riaffermato questo principio fondamentale, respingendo l’appello di un imprenditore condannato per operazioni fittizie e chiarendo, ancora una volta, la differenza tra una censura di diritto e una inammissibile censura di fatto.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un soggetto per l’utilizzo di fatture relative a operazioni inesistenti. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Una presunta violazione di legge nella valutazione della prova testimoniale.
2. Un vizio di motivazione riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale.
3. L’errata mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., relativo alla particolare tenuità del fatto.

Secondo la difesa, la Corte di merito non avrebbe valutato correttamente le prove, giungendo a conclusioni errate. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato.

L’inammissibilità del ricorso basato su censure di fatto

La Suprema Corte ha dichiarato i primi due motivi del ricorso inammissibile perché, di fatto, non denunciavano veri e propri errori di diritto, ma si limitavano a riproporre doglianze già esaminate e respinte dai giudici di merito. Il ricorrente, lungi dal dimostrare un’illogicità manifesta nella motivazione della sentenza d’appello, cercava di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, un’operazione che esula completamente dalle competenze della Corte di Cassazione.

Gli indici della fittizietà delle operazioni

La Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata avesse basato la sua decisione su un apparato argomentativo solido e logico, fondato su una serie di indici precisi che, valutati unitariamente, provavano la natura fittizia delle operazioni fatturate. Tra questi:

* Assenza di struttura: La società emittente le fatture era priva di una struttura operativa autonoma e di personale dipendente.
* Mancanza di mercato: La stessa società non aveva propri clienti né una propria organizzazione commerciale.
* Confusione soggettiva: Vi era una totale confusione tra i due soggetti economici coinvolti.
* Genericità delle fatture: Le fatture riportavano indicazioni assolutamente generiche, e non era emerso alcun elemento che provasse l’effettivo svolgimento delle prestazioni.

Questi elementi, considerati nel loro complesso, hanno costituito una base probatoria sufficiente per i giudici di merito a ritenere provata la condotta illecita.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità evidenziando la natura meramente riproduttiva e fattuale dei motivi di ricorso. È stato chiarito che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito dove poter ridiscutere la ricostruzione dei fatti operata dai giudici delle fasi precedenti. I motivi di ricorso, per essere ammissibili, devono individuare specifici vizi di legge o difetti di motivazione (come illogicità manifesta o contraddittorietà) e non limitarsi a proporre una lettura alternativa delle prove.

Anche il terzo motivo, relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), è stato giudicato inammissibile per le stesse ragioni. La Corte di merito aveva logicamente escluso tale qualificazione considerando due fattori decisivi: l’importo non trascurabile dell’imposta evasa e le modalità ripetitive della condotta. Questi elementi, secondo i giudici, sono incompatibili con la nozione di “particolare tenuità”.

le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è giudice della legge, non del fatto. Un ricorso inammissibile non solo viene respinto, ma comporta anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro. Questa decisione serve da monito: le impugnazioni devono essere fondate su solide argomentazioni giuridiche, altrimenti si risolvono in una mera perdita di tempo e risorse, con conseguenze economiche negative per chi le propone senza fondamento.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è inammissibile quando si limita a riproporre censure di fatto già adeguatamente valutate e disattese dai giudici di merito, senza evidenziare profili di illogicità manifesta o violazioni di legge nella motivazione della sentenza impugnata.

Quali elementi possono indicare la fittizietà di operazioni commerciali?
Il provvedimento elenca diversi indici: l’assenza di una struttura operativa autonoma e di personale; la mancanza di clienti propri o di un’organizzazione specifica; la totale confusione tra i soggetti economici coinvolti; e la presenza di fatture con indicazioni generiche non supportate da prove dell’effettivo svolgimento delle operazioni.

Perché non è stata riconosciuta la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. a causa dell’ammontare “certamente non trascurabile” dell’imposta evasa e delle “modalità ripetitive delle condotte”, ritenendo che tali elementi fossero incompatibili con una qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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