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Ricorso inammissibile: prova dell’associazione a delinquere

Un uomo, indagato per partecipazione a un’organizzazione criminale dedita al traffico di droga (associazione a delinquere), si appella alla Corte di Cassazione contro la sua detenzione cautelare. Contesta vizi procedurali, come la mancata trasmissione di documenti e l’invalidità delle intercettazioni, e la carenza di prove di un’associazione stabile. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando la decisione del tribunale inferiore. Viene chiarito che le obiezioni procedurali devono essere sollevate nelle sedi di merito e che le prove raccolte, incluse intercettazioni che delineano una struttura organizzata, ruoli definiti e una cassa comune, costituiscono indizi gravi e sufficienti per il reato contestato.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Prova dell’Associazione per Delinquere in Fase Cautelare

Quando un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti porta a una misura di custodia cautelare in carcere, la difesa ha a disposizione diversi strumenti per contestare il provvedimento. Tuttavia, il percorso processuale è costellato di regole precise, la cui violazione può portare a un ricorso inammissibile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci offre un’analisi dettagliata dei confini tra le censure procedurali, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e i limiti del giudizio di legittimità.

Il caso riguarda un soggetto accusato di far parte di un sodalizio criminale, con un ruolo specifico nel confezionamento, custodia e cessione di cocaina e marijuana. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando sia vizi procedurali, come la mancata trasmissione di tutti gli atti al Tribunale del riesame, sia vizi di merito, contestando l’esistenza stessa del vincolo associativo.

I Fatti di Causa: Dall’Ordinanza Cautelare al Ricorso

Un’ordinanza del GIP del Tribunale di Caltanissetta disponeva la custodia cautelare in carcere per un uomo, indagato per il delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 309/1990. L’accusa era di essere un partecipe di un’associazione criminale, occupandosi di approvvigionamento e taglio dello stupefacente e mettendo a disposizione il proprio garage come deposito. Il Tribunale del riesame confermava l’ordinanza, spingendo la difesa a ricorrere per cassazione.

I Motivi del Ricorso: Questioni Procedurali e di Merito

Il ricorrente basava la sua difesa su quattro principali motivi:
1. Inefficacia della misura cautelare: per violazione dell’art. 309 c.p.p., a causa della mancata trasmissione al Tribunale del riesame di tutti gli atti richiesti dalla difesa.
2. Vizio di motivazione e inutilizzabilità delle intercettazioni: per la mancata acquisizione di tutti i decreti autorizzativi delle intercettazioni, ritenuti fondamentali per verificare la legittimità delle captazioni.
3. Insussistenza del reato associativo: secondo la difesa, le prove raccolte dimostravano al più singoli episodi di spaccio in concorso, ma non un vincolo associativo stabile e permanente (affectio societatis).
4. Carenza delle esigenze cautelari: si contestava la valutazione del pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio, ritenuta sproporzionata rispetto alla posizione dell’indagato.

La Decisione della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti su ciascuno dei punti sollevati. I giudici hanno ritenuto i motivi presentati manifestamente infondati e, in parte, non specifici, delineando una netta linea di demarcazione tra le competenze del giudice di merito e quelle del giudice di legittimità.

La Tardività delle Eccezioni Procedurali

Per quanto riguarda la mancata trasmissione degli atti e dei decreti autorizzativi delle intercettazioni (primi due motivi), la Corte ha ribadito un principio consolidato: tali eccezioni devono essere sollevate tempestivamente davanti al Tribunale del riesame. Non è possibile presentarle per la prima volta in sede di Cassazione. Il ricorrente, infatti, ha l’onere non solo di lamentare la mancanza di un atto, ma anche di specificare quali atti mancano e la loro rilevanza decisiva. In questo caso, la difesa non ha dimostrato di aver posto la questione al giudice del riesame, rendendo la doglianza tardiva e quindi inammissibile.

L’Inammissibilità delle Censure sulla Prova nel ricorso

Relativamente alla contestazione sull’esistenza dell’associazione criminale e sulle esigenze cautelari (terzo e quarto motivo), la Cassazione ha sottolineato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità e la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato. Il Tribunale del riesame aveva adeguatamente motivato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, evidenziando elementi fattuali che distinguevano il caso da un semplice concorso di persone: la presenza di una struttura organizzata, una cassa comune, l’uso di veicoli e utenze dedicate, un linguaggio criptico e luoghi di incontro privilegiati. Tali elementi, secondo la Corte, erano sufficienti a fondare, in fase cautelare, un giudizio di qualificata probabilità di colpevolezza. Contestare questa ricostruzione significa chiedere una nuova valutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità basandosi su principi procedurali e sostanziali chiari. In primo luogo, ha riaffermato che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non rivalutare le prove. Il ricorrente, lamentando la mancanza di prove per l’associazione, stava di fatto chiedendo alla Corte di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, cosa non permessa.

In secondo luogo, la Corte ha evidenziato la negligenza processuale della difesa nel non sollevare le eccezioni sulla completezza degli atti nella sede opportuna, ovvero davanti al Tribunale del riesame. Questo principio serve a garantire l’efficienza del processo e a evitare che le parti utilizzino il ricorso per cassazione per sollevare questioni che avrebbero potuto e dovuto essere risolte prima.

Infine, per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, vige una presunzione legale di sussistenza delle esigenze cautelari (art. 275, comma 3, c.p.p.). Era onere della difesa fornire elementi concreti per vincere tale presunzione, cosa che, secondo la Corte, non è avvenuta in modo convincente.

le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per la prassi legale. Dimostra che la strategia difensiva, specialmente in materia cautelare, deve essere costruita con rigore fin dalle prime fasi del procedimento. Le eccezioni procedurali devono essere tempestive e specifiche, mentre le contestazioni nel merito devono confrontarsi con la solida motivazione del giudice, senza sperare in una rivalutazione dei fatti in Cassazione. La distinzione tra concorso di persone e associazione a delinquere rimane centrale, e la sua prova in fase cautelare si basa su un insieme di elementi fattuali che, nel loro complesso, devono delineare una struttura organizzativa stabile e finalizzata a un programma criminoso indeterminato.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la mancata trasmissione di atti al Tribunale del riesame?
No, la sentenza chiarisce che l’eccezione relativa alla mancata o tardiva trasmissione di atti rilevanti al Tribunale del riesame deve essere formulata tempestivamente davanti allo stesso giudice di merito. Non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Quali elementi distinguono l’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio dal semplice concorso di persone nel reato?
Secondo la Corte, l’elemento distintivo risiede nell’esistenza di una organizzazione stabile e strutturata che va oltre il singolo accordo per commettere reati. Elementi come una cassa comune, la disponibilità di mezzi (auto, telefoni) dedicati, luoghi d’incontro stabili e una divisione dei ruoli provano l’esistenza del vincolo associativo permanente.

Come viene valutato il pericolo di reiterazione del reato per chi è accusato di associazione a delinquere?
Per il reato associativo previsto dall’art. 74 d.P.R. 309/1990, la legge presume la sussistenza delle esigenze cautelari, inclusa quella del pericolo di reiterazione. Spetta alla difesa fornire una prova contraria per superare tale presunzione, dimostrando elementi concreti che escludano tale rischio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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