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Ricorso inammissibile: prescrizione non rilevabile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per omessa dichiarazione IVA. La Corte ha stabilito che la questione della prescrizione, maturata dopo la sentenza di secondo grado, non può essere esaminata a causa della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. Questa decisione conferma il principio secondo cui un ricorso inammissibile non instaura un valido rapporto processuale, precludendo il rilievo d’ufficio della prescrizione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile e Prescrizione: Quando la Cassazione non può decidere

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia processuale: la declaratoria di ricorso inammissibile preclude il rilievo della prescrizione del reato, anche qualora questa sia maturata dopo la pronuncia della sentenza d’appello. Questa decisione offre spunti importanti sulle conseguenze della proposizione di un ricorso basato su motivi infondati.

Il caso: omessa dichiarazione IVA e ricorso in Cassazione

Il caso esaminato riguardava un imprenditore condannato in primo e secondo grado per il reato di omessa dichiarazione ai fini IVA, previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. Secondo l’accusa, l’imputato aveva evaso l’imposta per un importo di circa 74.000 euro.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imprenditore ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I motivi del ricorso: prescrizione e soglia di punibilità

L’imputato lamentava, in primo luogo, la violazione di legge per omessa declaratoria della prescrizione del reato. In secondo luogo, contestava la sussistenza stessa del reato, sostenendo che non fosse stato adeguatamente provato il superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma.

La decisione della Corte sul ricorso inammissibile e la prescrizione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi. Per quanto riguarda la soglia di punibilità, i giudici hanno osservato che l’ammontare dell’imposta evasa era stato accertato nei gradi di merito e che il ricorrente non aveva fornito alcun elemento concreto, come una consulenza tecnica, per contestare tale accertamento.

Sul punto cruciale della prescrizione, la Corte ha effettuato un calcolo preciso. Al momento della decisione d’appello (6 marzo 2024), il termine di prescrizione decennale previsto per quel reato, comprensivo delle sospensioni, non era ancora maturato. La data finale di prescrizione, secondo i calcoli dello stesso ricorrente, sarebbe stata il 16 aprile 2024, quindi successiva alla sentenza impugnata.

Le motivazioni: perché la prescrizione non può essere dichiarata?

Il cuore della decisione risiede nel principio, consolidato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza Ricci, n. 12602/2016), secondo cui la declaratoria di inammissibilità del ricorso impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale dinanzi alla Corte di Cassazione.

In assenza di tale rapporto, la Corte non ha il potere di esaminare questioni che non siano state validamente devolute al suo giudizio. Di conseguenza, non può rilevare d’ufficio (cioè di propria iniziativa) una causa di estinzione del reato come la prescrizione, se questa è maturata in un momento successivo alla sentenza d’appello. L’inammissibilità del ricorso, in sostanza, ‘cristallizza’ la situazione giuridica al momento della decisione di secondo grado, rendendo definitiva la condanna.

Conclusioni: le implicazioni pratiche di un ricorso inammissibile

Questa ordinanza sottolinea le gravi conseguenze derivanti dalla presentazione di un ricorso per Cassazione basato su motivi generici o manifestamente infondati. Un ricorso inammissibile non solo porta al rigetto delle proprie istanze, ma preclude anche la possibilità di beneficiare di cause di estinzione del reato, come la prescrizione, che potrebbero maturare nel corso del giudizio di legittimità. La condanna diventa definitiva e l’imputato è inoltre tenuto al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 3.000 euro.

Quando scatta la prescrizione per il reato di omessa dichiarazione previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000?
Secondo la pronuncia, per il reato di omessa dichiarazione il termine di prescrizione è di dieci anni, ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 74/2000, a cui vanno aggiunti eventuali periodi di sospensione.

La Corte di Cassazione può dichiarare la prescrizione se questa matura dopo la sentenza d’appello?
No, se il ricorso proposto è inammissibile. La Corte ha stabilito che l’inammissibilità del ricorso impedisce la formazione di un valido rapporto processuale e, di conseguenza, preclude al giudice di legittimità la possibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile?
A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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