Ricorso inammissibile per prescrizione: analisi di un’ordinanza della Cassazione
L’istituto della prescrizione nel diritto penale rappresenta un pilastro fondamentale, bilanciando l’esigenza di giustizia con il principio di certezza del diritto. Tuttavia, quando un’eccezione di prescrizione viene sollevata in modo infondato, le conseguenze possono essere severe. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di ricorso inammissibile per prescrizione, delineando i criteri di valutazione e le sanzioni applicabili. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere meglio la logica giuridica e le sue implicazioni pratiche.
Il caso in esame: un appello basato sulla prescrizione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. L’imputato, dopo la conferma della condanna in secondo grado, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’avvenuta prescrizione del reato. A suo dire, il tempo necessario per estinguere il reato sarebbe già trascorso al momento della sentenza d’appello.
La posizione della difesa
La tesi difensiva si concentrava esclusivamente sul calcolo dei termini di prescrizione, sostenendo che fossero maturati prima della decisione della Corte d’Appello. Questo tipo di doglianza, se fondata, avrebbe portato all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, estinguendo di fatto il reato.
La decisione della Corte: il ricorso inammissibile per prescrizione
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due aspetti cruciali: la manifesta infondatezza e la genericità del motivo proposto. I giudici supremi hanno evidenziato come la sentenza d’appello avesse già spiegato in modo chiaro e corretto il calcolo del termine di prescrizione.
Il reato era stato commesso il 9 dicembre 2014. La Corte ha chiarito che, tenendo conto delle proroghe dovute alle interruzioni del processo, il termine massimo di prescrizione era di dieci anni. Di conseguenza, alla data della decisione della Cassazione (25 ottobre 2024), tale termine non era ancora decorso. L’argomentazione dell’imputato è stata quindi giudicata palesemente priva di fondamento.
Le motivazioni della Corte
Le motivazioni alla base dell’inammissibilità risiedono nella palese errata interpretazione della normativa sulla prescrizione da parte del ricorrente. La Corte ha ribadito che il calcolo deve tenere conto non solo del tempo base previsto per il reato, ma anche degli atti interruttivi che ne prolungano la durata fino a un limite massimo. Nel caso specifico, la sentenza impugnata aveva correttamente applicato questi principi, rendendo l’eccezione del ricorrente del tutto pretestuosa. La Corte sottolinea che un ricorso non può limitarsi a riproporre una tesi già motivatamente respinta, senza addurre nuovi e solidi argomenti giuridici.
Le conclusioni: conseguenze dell’inammissibilità
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze. Conformemente alla legge, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, è stata disposta la condanna al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria aggiuntiva viene applicata quando, come in questo caso, non si ravvisa un’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità. In sostanza, proporre un ricorso basato su motivi manifestamente infondati comporta un onere economico significativo, a monito contro l’abuso dello strumento processuale. La decisione, citando una nota sentenza della Corte Costituzionale, riafferma il principio secondo cui l’accesso alla giustizia deve essere esercitato con responsabilità.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e genericità del motivo. La Corte ha ritenuto che la tesi del ricorrente sulla prescrizione fosse palesemente errata e già correttamente confutata nella sentenza precedente.
Come è stato calcolato il termine di prescrizione nel caso di specie?
Il termine massimo di prescrizione è stato calcolato in dieci anni a partire dalla data di commissione del reato (9 dicembre 2014). Questo calcolo teneva conto delle proroghe conseguenti agli atti interruttivi del processo, come previsto dalla legge.
Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, poiché non è stata ravvisata un’assenza di colpa nella proposizione di un ricorso manifestamente infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43049 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43049 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 385, cod. pen..
Egli deduce l’intervenuta prescrizione del reato già al momento della sentenza impugnata.
Il ricorso è inammissibile, per la manifesta infondatezza e la genericità del motivo.
La sentenza spiega espressamente e correttamente, infatti, perché il termine massimo di prescrizione, per effetto delle proroghe conseguenti alla successive interruzioni, è pari a dieci anni dalla data di commissione del reato (9 dicembre 2014), non essendo perciò scaduto ancora alla data odierna.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa della ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25 ottobre 2024.