Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27067 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/07/2025
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 16 dicembre 2024 ha, in parte, riformato la sentenza di condanna del 30 giugno 2023 del Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Milano dichiarando non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati ascrittigli ai capi 29, 145, 146, 25, 96, 97, – limitatamente al fatto commesso il 12 maggio 2017- 102, 120, 183, 184 e 269, perché estinti per intervenuta prescrizione ed ha rideterminato la pena per i residui reati in anni due mesi, mesi nove e giorni 15 di reclusione, a titolo di aumento per la continuazione con i fatti di cui alla sentenza irrevocabile n. 8141 emessa dalla Corte d’appello di Milano il 13 dicembre 2022 così rideterminando la pena complessiva in anni 5 mesi 5 e giorni 15 di reclusione.
La Corte di appello ha confermato la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile Città Metropolitana di Milano.
La sentenza impugnata riguarda varie condotte di reato, meglio indicati nel prosieguo con riferimento alla richiesta di declaratoria di prescrizione dei reati ovvero applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen.
Qui è sufficiente rilevare che si tratta di illeciti riconducibili all’att dell’imputato quale socio accomandatario della società “RAGIONE_SOCIALE” di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, pubblico ufficiale in quanto munito di poteri certificativi derivanti dall’autorizzazione ad esercitare l’impresa di consulenza automobilistica e amministratore dell’omonima agenzia di pratiche automobilistiche abilitato alle formalità di trascrizione, iscrizione, e annotazione dei veicoli dalla Motorizzazione civile di Milano e allo Sportello telematico dell’automobilista. Al ricorrente, nella qualità, sono ascritti numerosi delitti di fals e di essersi impossessato delle somme che gli venivano consegnate per il disbrigo di pratiche automobilistiche, reati, questi ricondotti ai reati di truffa ovvero, al fattispecie di cui all’art. 314 cod. pen.
Il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata articolando tre motivi di ricorso, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili fini della motivazione.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione sostiene che, erroneamente, la Corte di appello, rilevandola di ufficio, non abbia dichiarato la prescrizione dei reati maturata prima della sentenza di appello, con riferimento ai reati di cui ai capi: 13, art. 480 cod. pen., commesso il 30 marzo 2017; 14, art. 471 cod. pen., commesso il 30 marzo 2017; 15, art. 480 cod. pen., commesso il 5 maggio 2017; 103), art. 471 cod. pen., commesso il 10 aprile 2017; 104, art. 480 cod. pen., commesso il 8 giugno 2017; 121, art. 471 cod. pen., commesso il 67 aprile 2017; 122, art. 480 cod. pen., commesso il 1 giugno 2017; 164, artt. 476-479, 480 cod. pen., commessi il 10 agosto e 14 dicembre 2016; 177, art. 480 cod. pen., commesso il 10 maggio 2017; 186, artt. 480 e 347 cod. pen., commessi il 23
maggio 2017; 187, art. 471 cod. pen., commesso il 23 maggio 2017; 232, art. 480 cod. pen., commesso il 13 marzo 2017; 249, artt. 480 e 347 cod. pen., commessi il 3 maggio 2017; 278, art. 480 cod. pen., commesso il 2 febbraio 2017.
2.2. Con il secondo motivo chiede la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, intervenuta dopo la pronuncia della sentenza di appello, in relazione ai reati ascrittigli ai capi: 18, art. 480 cod. pen., commesso il 18 settembre 2017; 89) art. 479 cod. pen., commesso il 19 luglio 2017; 94, artt. 480 cod. pen., commesso il 22 giugno 2017; 98, art. 480 cod. pen., commesso il 30 giugno 2017; 128, artt. 480 e 347 cod. peri., commessi il 22 giugno 217; 129, art. 471 cod. pen., commesso il 22 giugno 2017; 179, art. 480, commesso il 17 luglio 2017; 181, art. 480 cod. pen., commesso il 5 ottobre 2017; 185, art. 480 cod. pen., commesso il 29 settembre 2017; 233, artt. 480 e 479 cod. pen., commessi il 29 settembre 2017; 251, art. 480 cod. pen., commesso il 2 agosto 2017.
2.3. Con il terzo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale per la mancata applicazione della circostanza di cui all’art. 62 n. 6, cod. pen. con riferimento ai reati di peculato (artt. 314 cod. pen.) ascrittigli ai capi 42, 105, 168, 106, 252, 107, 113, 119, 176, 124, 130. Rileva che la motivazione dei Giudici di appello, sulla mancanza di univoche risultanze processuali attestanti una qualsivoglia forma di integrale risarcimento nei confronti delle persone offese, sia erronea dal momento che l’imputato aveva portato a termine le relative procedure attinenti ai passaggi di proprietà dei veicoli sia pure in data successiva rispetto agli incarichi convenuti, eliminando così le eventuali conseguenze dannose delle contestate condotte illecite. Si tratta, osserva, di elementi di fatto che emergono dalle comunicazioni di notizia di reato, ritualmente acquisite agli atti. Deduce, infine, che, con riferimento al reato di cui al 123, è stato acquisito il verbale della remissione di querela della persona offesa che aveva ricevuto in varie tranches la somma indebitamente trattenuta dall’imputato. I giudici del merito non si sono confrontati, rigettando la richiesta di applicazione dell’attenuante comune, con tali evidenze di prova.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
2.Va premessa, con riferimento ai primi due motivi di ricorso in materia di prescrizione, la enunciazione di un principio affermato nella giurisprudenza di legittimità, sia pure fattispecie opposte a quella in esame, secondo il quale in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato
fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze o la pena, sicché la “res iudicata” si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame. Ne consegue che l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce. (Sez. 3, n. 40452 del 05/06/2018, F., Rv. 275253; Sez. 3, n. 36370 del 09/04/2019, COGNOME, Rv. 277168).
Le sentenze, richiamate per la loro pertinenza alla fattispecie in esame, hanno fatto applicazione di un più generale e stabile principio dettato in materia di cd. giudicato parziale e della sua relazione con il principio di preclusione, dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui ai fini della rilevabilità delle cause di estinzione del reato, la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la “res iudicata” si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame. Ne consegue che l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il perimetro dell’impugnazione in materia di pena, ai fini dell’operatività del principio di preclusione innanzi indicato, è delineato, e si dice cosa ovvia, dai motivi di impugnazione proposti in appello (e, correlativamente, nel ricorso per cassazione, con la precisazione di seguito indicata).
Orbene la lettura dei motivi di appello proposti dal COGNOME – e la sentenza impugnata ne ha dato atto a pag. 11 e ss. – consente di rilevare che, in relazione ai capi di imputazione indicati al punto 2.1. del Ritenuto in fatto non erano stati devoluti alla Corte di appello motivi di impugnazione né sul merito della
responsabilità né sul trattamento sanzionatorio poiché solo con riferimento a reati diversi l’imputato aveva proposto motivi di appello nel merito della condanna e solo per i reati di cui ai capi 42, 105, 168, 106, 252, 107, 113, 119, 176, 123, 124 e 130 – cioè, con riferimento ai reati di peculato – l’atto di appello conteneva la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen.
Anche se la pena, con riferimento ai reati di cui al punto 2.1. del Ritenuto in fatto era stata applicata in aumento per la continuazione fra reati, in presenza di sentenza cumulativa, l’autonomia delle singole fattispecie di reato e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati – cioè i reati per i quali la Corte di merito ha esaminato i motivi di appello pervenendo, in presenza di impugnazione non inammissibile alla dichiarazione di estinzione dei reati, non determina l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi non siano stati proposti e in relazione ai quali si è formato il giudicato parziale, con la conseguenza che, per tali reati, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione e di procedere alla rideterminazione della pena eliminando l’aumento per la continuazione (cfr. Sez. 3, n. 26807 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 284783 – 01)
Per completezza va rilevato che nella sentenza impugnata (cfr. pag. 12), la Corte di appello ha dichiarato intempestivo l’atto di appello del 14 novembre 2023, con una statuizione, nella quale si dà atto della intempestività e genericità dell’impugnazione, che non ha costituito oggetto di ricorso e che, in ogni caso, concerneva imputazioni diverse da quelle oggetto di ricorso a punto 3.1.
Da ciò discende la inammissibilità, per manifesta infondatezza, del primo motivo di ricorso.
2.A esito non diverso si espone il secondo motivo di ricorso poiché, come noto, la inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.: la inammissibilità del ricorso preclude, pertanto, di rilevare la prescrizione dei reati maturata successivamente alla sentenza impugnata in relazione ai reati indicati al punto 2.2. del Ritenuto in fatto (S.U., n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
3.Prima ancora che manifestamente infondati risultano generici i motivi di ricorso con i quali il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione della sentenza impugnata per la mancata applicazione della
circostanza di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. in relazione ai reati di peculato, ascrittigli ai capi 42, 105, 168, 106, 252, 107, 113, 119, 176, 123, 124, 130, circostanza denegata dalla Corte di merito in mancanza di prova dell’integrale risarcimento dei danni cagionati alle persone offese.
L’art 314 cod. pen. costituisce una fattispecie di reato plurioffensivo, funzionale non solo alla tutela degli interessi patrimoniali della pubblica amministrazione ma anche alla tutela del pubblico interesse al normale funzionamento del servizio pubblico: al reato in esame si ritengono, pertanto, applicabili sia l’aggravante di cui all’art 61, n. 7 cod. pen. che l’attenuante di cui all’art 62, n. 4 cod. pen., à seconda che il nocumento in concreto accertato si presenti di rilevante gravita ovvero di assai modesta portata.
L’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. si ritiene applicabile, in generale, quando, prima del giudizio, l’imputato abbia riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni ovvero quando l’imputato, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: si tratta, dunque, di ipotesi che richiedono differenti presupposti correlati alla tipologia della condotta e alle conseguenze del reato.
L’attenuante contemplata nella seconda parte dell’art. 62, n. 6 cod. pen. si riferisce, dunque, a quelle conseguenze del reato che non possono essere eliminate mediante il risarcimento o le restituzioni.
L’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. prima parte comporta non solo la restituzione della somma, di cui l’imputato si sia appropriato, ma anche il risarcimento del danno non patrimoniale e, con riferimento ai reati patrimoniali, in generale, dei danni emergenti cagionati per effetto della mancata disponibilità del denaro o del bene oggetto di appropriazione: il risarcimento deve, cioè, essere funzionale alla riparazione integrale del danno arrecata.
Con riferimento al peculato mediante appropriazione questa Corte ha precisato che è legittimo il diniego dell’attenuante del risarcimento del danno per avere l’imputato restituito la somma indebitamente trattenuta senza integrare la stessa con quanto dovuto a titolo di interessi, giacché l’art. 62, n. 6, prima parte, cod. pen. esige espressamente la integralità della riparazione del danno, in esso rientrando anche il mancato godimento del denaro temporaneamente ritenuto dall’imputato (Sez. 6, n. 15875 del 24/03/2022, COGNOME Rv. 283190).
Nel caso in esame, il danno prodotto dal reato è consistito nell’appropriazione delle somme ricevute dai clienti per il disbrigo delle pratiche di interesse (trasferimento di proprietà del veicolo o altri adempimenti connessi alle attività di
consulenza automobilistica), non versate alla Città Metropolitana di Milano, all’RAGIONE_SOCIALE Club e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti competenti.
Ritiene il Collegio che il mero riferimento contenuto nel ricorso all’adempimento delle formalità di iscrizione o trascrizione, in relazione alle quali
l’imputato aveva incassato le somme dai clienti, adempimento già risultante dalle informative di polizia, non sia idoneo ad integrare gli elementi costitutivi della
circostanza del risarcimento del danno che, per essere rilevante, come si è detto, deve comprendere anche il mancato godimento, da parte delle Pubbliche
amministrazioni, del denaro nel frattempo ritenuto dall’imputato e che la giurisprudenza ha individuato nel pagamento, perlomeno, delle somme maturate
a titolo di interesse sulle somme ricevute.
Men che mai è idonea a integrare la condotta risarcitoria la restituzione delle somme alla persona che le aveva anticipate per la esecuzione delle formalità, in
relazione al capo 123, essendosi definitivamente consumata la condotta appropriativa in danno degli enti neppure seguita dalla trascrizione della vendita
del veicolo.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. perché non era comprovato l’integrale risarcimento del danno.
4.Consegue alla inammissibilità del ricorso la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché delle spese del presente grado in favore della parte civile, Città Metropolitana di Milano, spese che, tenuto conto della richiesta e modalità di trattazione scritta dell’udienza, devono essere liquidate, ai sensi del d.m. n. 55 del 2014 e ss. modifiche nell’importo indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna inoltre il ricorrente a rifondere alla parte civile Città Metropolitana di Milano le spese di rappresentanza e difesa che liquida in euro 1.796,00, oltre accessori se dovuti.
Così deciso il 15 luglio 2025