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Ricorso inammissibile post-concordato: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza di ‘concordato in appello’. La Suprema Corte chiarisce che l’accordo sulla pena preclude la possibilità di contestare la sua misura, salvo i rari casi di pena illegale, confermando la condanna e sanzionando i ricorrenti per l’appello infondato.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando l’Accordo in Appello Chiude le Porte alla Cassazione

L’istituto del “concordato in appello”, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta una scelta strategica cruciale per l’imputato. Accettare di rinegoziare la pena in secondo grado comporta la rinuncia ai motivi di appello e, come chiarisce una recente ordinanza della Corte di Cassazione, limita drasticamente le possibilità di un’ulteriore impugnazione. La Suprema Corte ha infatti dichiarato un ricorso inammissibile proprio perché fondato su motivi non più contestabili dopo l’accordo, delineando i confini netti di questo strumento processuale.

I Fatti del Caso

Due imputati, condannati in primo grado dal Tribunale di Gela per reati legati agli stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale, avevano proposto appello. In sede di giudizio di secondo grado, la Corte d’Appello di Caltanissetta, su accordo delle parti, aveva parzialmente riformato la sentenza, rideterminando la pena per entrambi a due anni e un mese di reclusione, oltre a una multa di 5.164,00 euro ciascuno.

Nonostante l’accordo raggiunto, gli imputati, tramite il loro difensore, hanno presentato ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge in relazione alla mancata applicazione della pena minima prevista per i reati contestati. In sostanza, contestavano la quantificazione della pena che loro stessi avevano concordato.

La Decisione della Cassazione: il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente le doglianze, dichiarando entrambi i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dei limiti all’impugnazione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. La Suprema Corte ha sottolineato che, una volta raggiunto un accordo sulla pena in appello, l’imputato non può più sollevare questioni che sono state oggetto di rinuncia, come quelle relative alla determinazione della sanzione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni dell’ordinanza sono fondamentali per comprendere la natura e gli effetti del concordato in appello.

Limiti all’Impugnazione dopo il Concordato

La Corte ha ribadito un principio consolidato: il ricorso contro una sentenza di concordato è consentito solo per motivi specifici. Questi includono vizi nella formazione della volontà dell’imputato di accedere all’accordo, difetti nel consenso del pubblico ministero o una pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto pattuito. Sono invece inammissibili le censure relative a:

* Motivi di appello a cui si è rinunciato.
* Mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.).
* Vizi nella determinazione della pena, a meno che questa non sia “illegale”.

La Nozione di “Pena Illegale”

Il punto cruciale della decisione riguarda proprio la distinzione tra una pena semplicemente ritenuta eccessiva e una pena “illegale”. Una pena è considerata illegale solo quando non è prevista dalla legge per quel reato, è di specie diversa da quella prescritta o è stata quantificata al di fuori dei limiti edittali (minimi e massimi) fissati dalla norma. Nel caso di specie, la contestazione riguardava la mancata applicazione del minimo edittale, una questione di merito sulla quantificazione della pena che, rientrando nell’accordo, non poteva più essere messa in discussione. L’accordo stesso sana questo tipo di doglianze.

Differenza con il Patteggiamento Tradizionale

La Corte ha anche evidenziato la differenza tra il concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.) e l’applicazione della pena su richiesta delle parti in primo grado (il cosiddetto “patteggiamento” ex art. 444 c.p.p.). Mentre nel patteggiamento l’accordo abbraccia tutti i termini dell’accusa, consentendo un ricorso anche sulla qualificazione giuridica del fatto, il concordato in appello si innesta sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, rendendo il perimetro del successivo ricorso molto più ristretto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza della Cassazione serve come un importante monito: la scelta di accedere al concordato in appello è definitiva e preclude quasi ogni ulteriore via di ricorso. L’imputato e il suo difensore devono valutare con estrema attenzione i benefici di un accordo sulla pena contro la perdita della possibilità di contestare nel merito la sentenza di condanna. Presentare un ricorso inammissibile non è solo inutile, ma anche controproducente. La Corte, infatti, rilevando un “elevato coefficiente di colpa” nel proporre un’impugnazione palesemente infondata, ha condannato i ricorrenti non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una cospicua somma di 4.000,00 euro ciascuno alla Cassa delle ammende.

Quando è possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza decisa con “concordato in appello”?
Il ricorso è ammesso solo per motivi molto specifici: vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero, o nel caso in cui la pronuncia del giudice sia difforme da quanto pattuito. Non è possibile contestare la misura della pena concordata, a meno che non sia “illegale”.

Contestare la mancata applicazione della pena minima è un motivo valido per ricorrere dopo un concordato in appello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la contestazione sulla quantificazione della pena, inclusa la mancata applicazione del minimo edittale, rientra tra i motivi a cui si rinuncia con l’accordo. Non costituisce un’ipotesi di “pena illegale” e, pertanto, il relativo ricorso è inammissibile.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se la Corte ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso (cioè se era palesemente infondato), può condannare il ricorrente a pagare una somma aggiuntiva in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di 4.000,00 euro per ciascun ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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