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Ricorso inammissibile post-concordato: i limiti

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato da un’imputata contro una sentenza di condanna emessa a seguito di ‘concordato in appello’. La decisione si basa sul fatto che i motivi di ricorso proposti (mancata concessione di un’attenuante e richiesta di proscioglimento) non rientrano tra quelli ammessi in questa specifica procedura, che limita l’impugnazione ai soli vizi della volontà o a difformità nell’accordo. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Post-Concordato: La Cassazione Fissa i Paletti

L’istituto del ‘concordato in appello’ rappresenta uno strumento processuale che consente di definire il giudizio di secondo grado con un accordo sulla pena. Tuttavia, questa scelta strategica comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile presentare ricorso, dichiarando inammissibile un’impugnazione basata su motivi a cui la parte aveva implicitamente rinunciato con l’accordo. Analizziamo la vicenda e le importanti implicazioni giuridiche.

I Fatti del Caso

Una donna era stata condannata dalla Corte di Appello per diversi reati, tra cui la detenzione di un’arma da fuoco con matricola abrasa, un reato in materia di stupefacenti e un’ulteriore violazione del codice penale. La sentenza di secondo grado era stata emessa ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale, ovvero tramite un ‘concordato in appello’, un accordo tra difesa e accusa sulla rideterminazione della pena, recepito dai giudici.

Nonostante l’accordo, la difesa decideva di presentare ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. La mancata concessione di una circostanza attenuante (quella di cui all’art. 62 n. 6 c.p.), sostenendo di non avervi mai espressamente rinunciato.
2. Un vizio di motivazione in relazione alla possibile applicazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

I Motivi del Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto categoricamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile in toto. La decisione si fonda su un principio consolidato: quando si accede al concordato in appello, si accettano le sue regole e i suoi limiti. L’impugnazione di una sentenza emessa ex art. 599 bis c.p.p. è consentita solo per motivi molto specifici, quali:

* Vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo.
* Vizi relativi al consenso del Procuratore Generale.
* Contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Nessuno dei motivi presentati dalla ricorrente rientrava in queste categorie. Il ricorso era, pertanto, destinato al fallimento.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha chiarito in modo inequivocabile le ragioni giuridiche della sua decisione. In primo luogo, ha evidenziato che la ricorrente aveva rinunciato, con l’accordo, al motivo di appello relativo al riconoscimento della circostanza attenuante. Lamentare in Cassazione la sua mancata concessione è una doglianza su un motivo rinunciato, e come tale non è permessa.

In secondo luogo, e richiamando una propria precedente pronuncia (Sez. 2, n. 30990/2018), la Corte ha ribadito che, nel contesto di un ricorso contro una sentenza ‘concordata’, non sono ammissibili censure relative alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento immediato (ex art. 129 c.p.p.). L’accordo sulla pena presuppone una rinuncia a far valere tali questioni nel merito.

Di conseguenza, non sussistendo elementi per ritenere che la parte avesse agito senza colpa nel determinare la causa di ricorso inammissibile, la Corte ha applicato l’art. 616 c.p.p., condannando la ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito: il concordato in appello è uno strumento efficace per la deflazione del contenzioso, ma implica una ponderata rinuncia a far valere determinate doglianze. La possibilità di ricorrere in Cassazione è drasticamente ridotta e limitata a vizi procedurali specifici. Proporre un ricorso basato su motivi rinunciati o non consentiti non solo è inutile, ma espone anche al rischio concreto di una condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie. È fondamentale, quindi, che la scelta di aderire a un concordato sia frutto di un’attenta valutazione strategica tra difensore e assistito, pienamente consapevoli delle sue conseguenze processuali.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi molto specifici: vizi relativi alla formazione della volontà delle parti di accordarsi, al consenso del Procuratore generale o nel caso in cui la decisione del giudice sia difforme dall’accordo raggiunto. Non è possibile contestare il merito di questioni a cui si è rinunciato.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro, equitativamente fissata dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende.

Perché la richiesta di concessione di una circostanza attenuante è stata considerata inammissibile in questo caso?
Perché la ricorrente, aderendo al concordato in appello, aveva rinunciato al motivo di appello relativo a tale circostanza. Di conseguenza, non poteva più sollevare la questione davanti alla Corte di Cassazione, trattandosi di un punto coperto dall’accordo e dalla conseguente rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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